SdS CQ (College Quarterly) Terzo Trimestre 2017 – 02

Lezione 02

1-7 luglio

«Vado forse cercando il favore degli uomini, o quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servo di Cristo» (Galati 1:10)

Sabato 1° luglio

INTRODUZIONE

Lost in translation

di Daniel Bell, Wahroonga, New South Wales, Australia

Galati 1:6–9; 2 Pietro 3:16

La Nike ha «Just Do It» e McDonald’s ha «I’m Lovin’ It». Per cinque anni HSBC, una delle banche più grandi del mondo, usava «Assume Nothing» [non dare nulla per scontato]. Era uno slogan niente male per una banca, evocava un’idea di servizi personalizzati su misura delle necessità finanziarie di ogni individuo. Ma nel 2009, la banca multinazionale spese circa 10 milioni di dollari per cambiare il suo slogan. Perché? Il loro slogan ben intenzionato era stato tradotto in molti paesi come «Do Nothing» [non fare nulla], che evoca idee di insomma… banchieri piuttosto pigri.

Mentre HSBC si ritrovò con un classico caso di problema di traduzione, non abbiamo bisogno di cambiare lingua per essere mal interpretati o fraintesi. Pensa all’ultima volta che hai dovuto dire: «Non intendevo dire questo».

L’apostolo Paolo visse un’esperienza simile vent’anni dopo la morte di Gesù, in un periodo in cui il Vangelo si stava diffondendo a macchia d’olio nel mondo allora conosciuto. «Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli» (Matteo 28:19), Gesù aveva detto, e i suoi discepoli presero l’istruzione seriamente. Il messaggio della grazia e della salvezza di Dio fu diffuso non solo in città importanti dell’impero romano ma anche a paesi dell’Asia minore. Fu raccontato sia a ebrei che ad altri popoli stranieri, un approccio altamente controverso e non tradizionale per il tempo, quando gli ebrei credevano di essere, tramite la discendenza dagli antichi Israeliti, il popolo eletto del patto con Dio (Deuteronomio 14:2).

E se certi membri della prima chiesa cristiana l’avessero avuta vinta, il cristianesimo oggi non sarebbe il gruppo religioso più grande del mondo.[1] Per quegli ebrei, «tutti i popoli» voleva solo dire gli ebrei in altre parti del mondo. I gentili, come gli stranieri erano chiamati, potevano unirsi alla chiesa cristiana, ma c’erano delle condizioni: essenzialmente dovevano diventare ebrei, seguire gli usi ebraici, inclusa la circoncisione.

Non c’è da meravigliarsi che Paolo si sentì in dovere di scrivere una lettera severa alle chiese della Galazia, che stavano predicando una versione mal interpretata dell’istruzione finale di Gesù: «Mi meraviglio che così presto voi passiate, da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo, a un altro vangelo. Ché poi non c’è un altro vangelo» (Galati 1:6, 7).

Il Vangelo, come l’aveva decretato Gesù, era semplice; non riguardava le opere e l’ubbidienza alla legge, ma la fede. Per essere membri della chiesa cristiana, si doveva solo credere nella grazia salvifica di Gesù, non ubbidire alle usanze ebraiche. La lettera ai Galati torna al cuore della buona notizia, affrontando i temi importanti del cristianesimo.

[1] «The Global Religious Landscape», Pew Research Center, su http://www.pewforum.org/2012/12/18/global-religious-landscape-exec/ al 18 dicembre 2012

Domenica 2 luglio

EVIDENZA

Schiavi di Cristo

di Lerie Paculanang, Singapore

Galati 1:10

Come accennato da Paolo nei suoi saluti, le chiese della Galazia erano già state assistite da lui prima che arrivasse l’epistola. Ma lungo la via Paolo identificò che le chiese che serviva avevano deviato dagli insegnamenti originali che aveva dato loro. Certi «falsi» vangeli cominciarono a emergere tra le congregazioni. Per rispondere a questo problema, Paolo sentì la responsabilità di correggere il tiro e di e riportare le persone alla verità.

Questa responsabilità non era determinata da un semplice motivo politico o sociologico. La ragione per cui Paolo affrontò la questione non era neanche perché voleva ottenere rispetto dalle chiese o perché pensava che come «pioniere» aveva il diritto di dire qualcosa in proposito.

Com’è scritto nel testo, Paolo affermava chiaramente che la sua motivazione per affrontare gli errori era dovuta alla sua relazione come servo di Dio. La parola servo viene dalla parola greca doulos. Mentre alcune versioni della Bibbia traducono la parola come «servo», essa porta un significato più profondo e complesso di un semplice servitore. Doulos era usato per descrivere il tipo più umile di schiavi nell’antica civiltà greca. Un doulos non aveva diritti personali e la sua libertà dipendeva completamente dal suo padrone. Era in questa maniera che Paolo descriveva se stesso e la propria relazione con Gesù. Paolo non aveva più alcun diritto alla propria vita, ma tutto ciò che faceva ora era seguire le richieste e gli ordini del suo Maestro. Non era per secondi fini personali ma in nome del vero Signore e Maestro, Gesù Cristo.

È essenziale capire l’autorità che ci permette di fare quello che facciamo. Domande del genere erano state fatte anche a Gesù (Marco 11:28) e a molti altri personaggi nella Bibbia, come Mosè (Numeri 12:1), Davide (1 Samuele 17:45), e Geremia (Geremia 28:9). Solo coloro che avevano una profonda e autentica relazione con Dio possono mostrare la vera potenza di Dio manifestata nella loro vita e nel loro ministero. Come nella vita di Paolo, la convinzione che Cristo era senza dubbio il suo Maestro gli dava la forza di essere audace nel predicare il Vangelo e anche di dare la propria vita per il suo Maestro.

Rispondi

  1. Come possiamo riconciliare il concetto di libertà in Cristo con l’idea che siamo suoi «schiavi»?
  2. Come sappiamo di fare cose per il Signore con la stessa convinzione di Paolo, e che non stiamo usando il nome di Dio invano (Esodo 20:7) avendo i nostri piani e secondi fini?

Lunedì 3 luglio

LOGOS

L’asserzione dell’apostolo

di Bayu Kaumpungan, Singapore

Atti 9:1–10; 1 Corinzi 1:4; Galati 1; Efesini 1:2; Colossesi 1:2

Il libro dei Galati è noto essere un altro libro del Nuovo Testamento che affronta la discussione della salvezza oltre al libro dei Romani. Ma quello che è unico del libro dei Galati è che Paolo usò un’asserzione più forte nei suoi commenti sulla questione delle chiese della Galazia. In più, chiarì il proprio ruolo nell’affrontare la questione: era un apostolo. Nei primi due capitoli di Galati, sembra che Paolo usi un linguaggio autorevole per cercare di fare capire alle chiese il suo pensiero; perché un approccio del genere?

Il Vangelo: è una questione personale (Galati 1:6­–10)

In Galati 1:6–10, Paolo esprime la propria delusione e rafforza la propria resistenza al «Vangelo» che era insegnato in maniera molto diretta. Usa perfino un’espressione per dire che chi insegna un vangelo diverso dovrebbe essere maledetto (Galati 1:8, 9)! Un’espressione così forte potrebbe essere associata alla personalità di Paolo, che è noto per essere molto diretto e a volte duro.

Ma guardando più attentamente il passaggio indica che la ragione per cui Paolo usa un linguaggio molto forte non era solo una questione di personalità. Per Paolo, il messaggio del vero  angelo potrebbe non soddisfare tutti gli uomini, ma lui non era lì per essere politicamente corretto (v. 10). Secondo, il Vangelo non era un’invenzione umana ma un messaggio da Gesù stesso (vv. 11, 12). In altre parole, il Vangelo va oltre gli affari umani: è una soluzione divina per il problema del peccato.

Tuttavia, è facile immaginare che alcuni dei membri delle chiese della Galazia possano aver fatto la domanda cruciale, «Come fa Paolo a sapere che il suo insegnamento del Vangelo è quello che viene da Dio?». Paolo sembrava aspettarsi una domanda simile e come risposta diede immediatamente la sua testimonianza su come Gesù aveva cambiato la sua vita (v. 13–24).

Il suo incontro con Gesù sulla via per Damasco era così reale che per lui era dura non predicarlo (Atti 9:1–10). Il Vangelo deve certamente essere una questione personale e non solo una storia che viene sentita. Finché una persona non vive la potenza del Vangelo per esperienza personale, il messaggio della salvezza in Gesù può solo essere una bella storia senza applicazioni nella vita reale.

Il Vangelo: riguarda tutto Gesù (Galati 1:11, 12)

Un altro punto forte nell’introduzione di Paolo è la sua enfasi nel dire che il suo messaggio non riguarda affatto i suoi secondi fini. Piuttosto, riguarda la rivelazione di Gesù Cristo (Galati 1:11, 12). Un’espressione del genere è costante in molte delle lettere di Paolo a diverse chiese nel far notare che Gesù era l’unica ragione per cui aveva dedicato la propria vita a essere il messaggero di Cristo (1 Corinzi 1:4; Efesini 1:2, Colossesi 1:2).

Non c’è altra buona notizia che il cristianesimo possa portare senza Gesù al suo centro. Ciò che rende il Vangelo così potente è il suo fulcro che è il messaggio della salvezza in Gesù. Senza quello, il cristianesimo non ha un messaggio esclusivo da condividere con gli altri. Per questo Paolo era molto turbato quando le chiese della Galazia cominciarono a inserire insegnamenti che includevano Gesù come solo una «parte» della salvezza e non la via finale della salvezza (Galati 2:15, 16).

Rispondi

  1. Qual è la tua esperienza personale con Cristo che può farti trovare la stessa convinzione che Paolo ebbe nel cambiare la propria vita per diventare un messaggero del Vangelo?
  2. Quali sono alcune delle cose che potremmo «aggiungere» al messaggio della salvezza che possono diluire la vera potenza della salvezza in Gesù?

Martedì 4 luglio

TESTIMONIANZA

Ubbidire è meglio del sacrificio

di Faith Toh, Singapore

1 Samuele 15:22; Osea 6:6; Marco 12:33; Luca 11:42; Galati 1:10

Saul aveva sentito la parola di Dio: doveva distruggere gli Amalechiti completamente, senza tenere bottini di guerra, ma invece risparmiò le migliori pecore e buoi «per farne dei sacrifici al SIGNORE» (1 Samuele 15:21).

Questo potrebbe essere inteso come nobile o celare arroganza, del tipo: «Ehi Dio, so quello che mi hai detto di fare, ma so io cosa è meglio. So quello che vuoi meglio di te».

In una situazione simile, «ai tempi di Paolo c’erano alcuni che si soffermavano costantemente sulla circoncisione, e potevano portare prove in abbondanza dalla Bibbia per mostrarne l’obbligo degli ebrei; ma questo insegnamento non aveva rilievo in quel momento storico, perché Cristo era morto sulla croce del Calvario, e la circoncisione della carne non poteva avere ulteriore valore».[1]

Quello che Dio voleva non era il sacrificio o la circoncisione, ma l’ubbidienza al suo appello: «per la chiesa di Cristo era giunto il tempo di entrare in una fase di lavoro completamente nuova. La porta che molti giudei convertiti avevano tenuta chiusa contro gli stranieri, ora doveva essere spalancata. I gentili che accettavano il Vangelo dovevano essere considerati uguali ai discepoli ebrei, senza la necessità di osservare il rito della circoncisione».[2]

«Come misura di precauzione, Paolo consigliò a Timoteo di farsi circoncidere. Fece questo non perché Dio lo avesse richiesto, ma per poter rimuovere dalle menti dei giudei qualsiasi possibile obiezione al ministero di Timoteo. Nel suo lavoro, Paolo doveva viaggiare di città in città, in molte terre, e spesso avrebbe avuto l’opportunità di predicare Cristo nelle sinagoghe giudaiche, come pure in altri luoghi d’incontro. Se si fosse saputo che il suo compagno di lavoro era incirconciso, la sua opera avrebbe potuto essere grandemente ostacolata dal pregiudizio e dal fanatismo religioso degli ebrei. Ovunque l’apostolo incontrò opposizione e subì una dura persecuzione. Egli desiderava portare ai suoi fratelli ebrei, come ai gentili, la conoscenza del Vangelo; e perciò egli tentò, per quanto fosse in armonia con la fede, di rimuovere ogni pretesto di opposizione. Sebbene egli avesse tollerato il pregiudizio ebreo circa questo rito, credeva e insegnava che la circoncisione e l’incirconcisione non avevano più alcun valore. La cosa più importante era accettare il Vangelo di Cristo».[3]

L’ubbidienza è la risposta di qualcuno che è in una relazione di fiducia con Dio. Ci fidiamo e ci affidiamo a Dio. Lui prende il comando. L’ubbidienza è meglio del sacrificio perché stiamo lasciando che Dio prenda il posto di comando che gli spetta, mentre noi restiamo nel posto che ci spetta con lui: un posto di dipendenza e resa alla sua provvidenza.

[1] AAVV, The Seventh-day Adventist Bible Commentary, 2° edizione, vol. 6, p. 1061

[2] Ellen G. White, Gli uomini che vinsero un impero, p. 86

[3] Ibid., pp. 127-128

Mercoledì 5 luglio

COME FARE

«Gente di poca fede»

di Melody Tan, Wahroonga, New South Wales, Australia

Romani 3:28; Galati 1:6–9

In un freddo giorno di ottobre nel 1517, Martin Lutero, un prete piuttosto anonimo che insegnava teologia all’università di Wittenberg, in Germania, camminò verso la chiesa di Ognissanti della città. Aveva una missione. In mano aveva quelle che dopo sarebbero diventate note come le sue Novantacinque tesi, e la tradizione vuole che le abbia affisse alla porta della chiesa. Cos’è che portò alle azioni di Lutero che la storia oggi indica come l’inizio della Riforma protestante?

Lutero stava essenzialmente protestando contro le pratiche correnti della chiesa che credeva avessero deviato dall’essenza del Vangelo. Proprio come l’apostolo Paolo scrisse la lettera ai Galati, Lutero scrisse le sue Novantacinque tesi per ricordare ai capi cristiani che il perdono di Dio viene solo dalla fede; non sono necessarie ulteriori azioni.

Ma la natura umana è tale che ci piace che le cose siano concrete. Concetti intangibili come la fede e il perdono possono essere specialmente difficili da comprendere, soprattutto quando sappiamo di aver fatto errori terribili nel nostro passato. Quindi come possiamo rafforzare la nostra fede?

Leggi la Bibbia. Cerca in particolare dei versetti che parlano della fede.

Chiedi a Dio di darti la fede. Gesù disse: «Quello che chiederete nel mio nome, lo farò» (Giovanni 14:13). Come Dio è interessato agli aspetti pratici della nostra vita, mostrandoci la sua volontà, guarendo le malattie e anche trovando oggetti perduti, si interessa anche ai nostri bisogni spirituali. Ricorda l’uomo che esclamò, «Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità» (Marco 9:24).

Tieni un diario. Se non hai l’abitudine di scriverlo, non devi per forza tenere un diario quotidiano di tuoi pensieri e attività. Ma è comunque una buona idea annotarsi almeno i momenti in cui Dio si è reso reale per te in modo speciale; serviranno a incoraggiarti quando senti che la tua fede è in riserva.

Ringrazialo perché ti perdona. Questo probabilmente non ha tanto senso specialmente se non ti senti perdonato. Ma ringrazialo comunque. I coach motivatori spesso ci dicono di scrivere citazioni stimolanti dove possiamo vederle perché sanno che quello che pensiamo e diciamo, col tempo diventerà la nostra realtà.

Ricorda che appartieni alla famiglia di Dio in virtù della sola fede. Questo significa che tutto ciò che devi fare è credere che Dio ti ha perdonato e accettare il suo dono gratuito del perdono. Chi ti dice che devi fare qualcosa o ubbidire a qualcosa, ti sta predicando un vangelo diverso da quello che hai accettato; le nostre azioni non determinano la nostra salvezza, ma riflettono chi siamo.

Rispondi

  1. Quali altre cose puoi fare per rafforzare la tua fede?
  2. Perché pensi che concentrarsi sulle «opere» possa essere nocivo alla tua fede cristiana?

Giovedì 6 luglio

OPINIONE

E se?

di Rislyn Soo, Wahroonga, Nuovo Galles del Sud, Australia

Atti 15:1–5; Romani 1:16, 17; Galati 1:6–10

Quando cominciai ad andare in chiesa nei primi anni dell’adolescenza, mi fu detto molto velocemente come «comportarmi». C’erano certe cose che non dovevo fare e dovevo indossare solo un certo tipo di abbigliamento che era considerato «appropriato». Essenzialmente, dovevo rientrare in un certo modello per essere considerata un membro, e io pensavo che essere un cristiano corrispondesse a questo modello.

Il mio concetto di cristianesimo, insieme alla mia fede, si sgretolò le prime settimane in cui cominciai a frequentare un’università avventista del 7° giorno in un altro paese; la gente faceva cose che pensavo non fosse permesso fare e si vestivano diversamente da quello che, mi era stato fatto credere, ci si aspettava da un membro di chiesa. Eppure era ovvio che quelle persone erano cristiani profondamente impegnati e innamorati di Dio.

La nostra relazione con Dio e la base della nostra salvezza dipendono da quello che facciamo oppure no? Se la risposta è sì, allora dove finiscono le norme culturali e i pregiudizi personali e dove comincia il Vangelo?

Dio ovviamente si aspetta un certo standard da noi quando si tratta di seguirlo e onorarlo. Ma ci ha dato delle regole, delle restrizioni e perfino i dieci comandamenti, non per mostrarci quello che dobbiamo fare per appartenere alla famiglia di Dio; ce li ha dati per proteggerci dalle conseguenze indesiderate del disubbidire ai suoi comandamenti.

Il nostro dovere verso Dio è di riflettere il suo carattere. Dopo tutto, «noi tutti, a viso scoperto, contemplando come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella sua stessa immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione del Signore, che è lo Spirito» (2 Corinzi 3:18). In altre parole, diventiamo più simili a ciò su cui concentriamo la nostra attenzione. Ma qualunque cosa facciamo, la facciamo per l’amore che abbiamo per lui, non per paura di perderci il regno dei cieli se faremo diversamente.

Quando si tratta della nostra salvezza, Dio la dà a «chiunque crede» (ved. Romani 1:16). Nella nostra relazione con lui, abbiamo la garanzia della salvezza sulla base della sola fede. Le nostre azioni sono per fare piacere a Dio. Ancora più importante, non sta a noi decidere come si dovrebbero comportare gli altri; sta a Dio.

Rispondi

  1. Riesci a pensare ad alcuni «comportamenti cristiani» che sono il risultato di norme culturali e pregiudizi personali, e non basati sulla Bibbia?
  2. Come puoi assicurarti di stare cercando di soddisfare Dio e non gli umani con il tuo comportamento?

Venerdì 7 luglio

ESPLORAZIONE

L’opinione di Dio eclissa quella del mondo

di Mindi Vetter, Newman Lake, Washington, U.S.A.

Galati 1

CONCLUSIONE

Come illustra la lezione di questa settimana, Paolo scrisse questa lettera per far capire ai non ebrei che il suo messaggio non era stato scritto dagli uomini. Dio aveva ispirato le parole e Paolo le aveva pronunciate. Non era il messaggio di Paolo — era quello di Dio. Non dobbiamo considerare le menzogne che le persone cercano di farci credere, perché abbiamo la Parola di Dio contro cui paragonare quelle menzogne. Come dice Galati 1:10, l’opinione di Dio è tutto quello che conta. Non abbiamo bisogno di soddisfare questo mondo o di crederlo; dobbiamo solo soddisfare Dio — colui che ci ha creati e che ci ama a prescindere da chi siamo.

PROVA A

  • Scrivere una poesia sul lasciare che le distrazioni e le bugie di questo mondo sbiadiscano, fino a portare in luce l’essenziale: solo Dio è importante.
  • Creare un collage di immagini che rappresenti alcune opinioni che le persone hanno avuto su di te, in passato e anche oggi; poi, disegna una grossa barra rossa che lo attraversi per ricordarti che l’opinione che Dio ha di te dovrebbe sempre essere più importante.
  • Iniziare uno studio biblico con alcuni dei tuoi amici prendendo in considerazione la vita di alcuni personaggi biblici che permisero all’opinione che Dio aveva su di loro, di avere la meglio sulle opinioni di altre persone (per esempio Maria Maddalena).
  • Rendere Galati 1:10 la tua preghiera quotidiana per ricordarti che la Parola di Dio e la sua opinione sono l’unica cosa che conta.

CONSULTA

1 Corinzi 15:1–11; 1 Tessalonicesi 2:1–12.

Ellen G. White, Gli uomini che vinsero un impero, capitolo 36, «Apostasia in Galazia».

Carl P. Cosaek, Lettera di Paolo ai Galati, Edizioni AdV.

Timothy Keller, Galatians for You, The Good Book Company, 2013, capitoli 1, 2.

LEZIONI PER GIOVANI (18-35 ANNI)

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