Lezione 13
16 – 22 settembre
Il vangelo e la chiesa
«Così dunque, finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fratelli in fede» (Galati 6:10)
Sabato 16 settembre
INTRODUZIONE
Perfetto o reale?
di Brooke Ho, Lake Tapps, Washington, U.S.A.
Matteo 22:34–40; Giovanni 13:34
Perfetto: «Interamente privo di imperfezioni, difetti o mancanze».[1]
Reale: «Concreto piuttosto che immaginario, ideale o fittizio».[2]
Perché iniziare con le definizioni di queste due parole? Be’, le sentiamo nella vita quotidiana, e da sole non sembrano parole notevoli. Curiosamente, anche se non sono antonimi, è letteralmente impossibile essere entrambe le cose contemporaneamente. Il punto è che niente è perfetto nella realtà, e niente di reale è perfetto; ma c’è una cosa che contraddice questa filosofia: Dio.
Gli esseri umani, che erano stati creati a immagine di Dio, sono ovviamente imperfetti. In Matteo 26, Pietro rinnegò Gesù tre volte, eppure fu a Pietro che fu data la grande missione di far crescere, sviluppare e guidare la prima chiesa cristiana. Anche Gesù, che era perfetto, fu perseguitato per il messaggio radicale che sembrava scontrarsi con gli insegnamenti ebraici. Cosa c’era di così radicale in questo messaggio? Gesù vuole che viviamo vite imperfette sapendo che siamo schiavi del peccato? O esige la perfezione in un mondo dove ciò è impossibile? Nessuna delle due è corretta.
Anche se Dio sa che non siamo perfetti, ci dà la libertà di fare scelte che riguardano il modo in cui ci relazioniamo gli uni con gli altri e poi ci dà consigli sulle scelte migliori che possiamo fare. Siamo imperfetti, sbagliamo in continuazione, ma Dio ci ama ed è con noi nelle nostre vite caotiche. Inoltre, Dio ci ama lo stesso, a prescindere da quanto possa essere oscura la nostra storia o quanto lontano da lui potremmo allontanarci.
Cercare di essere perfetti e sforzarsi verso la perfezione sotto Dio sono cose molto diverse. Essere perfetti è falso e irrealizzabile. Ma Gesù ci chiama a tendere verso una perfezione simile alla sua: «Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri» (Giovanni 13:34). Lo sforzo umano per la perfezione è uno d’amore. Dio ci ha creato per avere un naturale piacere nell’interessarci gli uni degli altri. Sono riconoscente di essere amata incondizionatamente da Gesù. Essere amati è la miglior sensazione del mondo, e amare qualcun altro è altrettanto piacevole.
Quando sfidato dai farisei a selezionare il più importante tra tutti i comandamenti, Gesù rispose, «Ama il Signore Dio tuo. . . . Ama il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti» (Matteo 22:37–40). Studiando i temi della lezione di questa settimana, prima chiediti con ogni lezione, come può questo concetto aiutarmi a conoscere meglio e amare Dio? Secondo, chiedi come ciò che hai studiato si possa applicare alle relazioni umane con le persone nella tua vita.
[1] Dictionary.com, s.v. «perfect», visitato il 24 maggio 2016, http://www.dictionary.com/browse/perfect?s=t.
[2] Ibid., s.v. «real», visitato il 24 maggio 2016, http://www.dictionary.com/browse/real?s=t.
Domenica 17 settembre
LOGOS
Resisti o arrenditi
di Meggan Nicole, Lake Tapps, Washington, U.S.A.
2 Cronache 36:16–20; Geremia 20:7; Matteo 11:28–30
Ho guardato amici dilettarsi con il peccato. Alcuni, vedendo il loro errore, ritornano subito a Gesù, pentendosi e ri-centrandosi su Cristo. Fortunatamente questa era e continua a essere la mia storia. Ma ho visto altri che, dopo essersi cimentati con il peccato, hanno abbandonato ogni sforzo di raddrizzarsi spiritualmente. È probabile che chi sta leggendo possa rapportarsi a entrambe le storie. Lo studio biblico seguente evidenzia quanto è critica una relazione con Gesù, e anche quanto può essere semplice e gratificante.
Il peso della chiamata (Geremia 20:7)
Sei mai stato chiamato in una situazione disperata o ti sei dovuto confrontare con un compito molto difficile? Questa era la definizione stessa della chiamata di Geremia: «Tu mi hai persuaso, Signore, e io mi sono lasciato persuadere, tu mi hai fatto forza e mi hai vinto; io sono diventato, ogni giorno, un oggetto di scherno, ognuno si fa beffe di me» (Geremia 20:7). Spesso una chiamata pastorale non è facile, ma il grado di difficoltà non dovrebbe mai determinare se la nostra vocazione è legittima o no. Geremia ha espresso con passione queste parole al Signore mentre lottava con la natura della sua chiamata.
Nel libro di Geremia ci sono varie confessioni, o lamentazioni, al Signore dove, in ogni passaggio, Geremia riversa le proprie frustrazioni e i propri pesi legati alla chiamata terribilmente difficile posta su di lui dal Signore.[1] Geremia era chiamato a predicare a un popolo che non voleva avere niente a che fare con lui o con i suoi messaggi profetici.
Geremia in qualche modo trovò la forza di andare avanti nel suo ministero nonostante l’emozione e la frustrazione schiacciante con la sua chiamata. Continuò ad amare il suo popolo anche se lo schernivano e perseguitavano. La storia della vita di Geremia è triste con un finale triste. Tuttavia, la fedeltà di Geremia alla chiamata di Dio nella sua vita è forse la più motivante di tutta la Scrittura.
Il giudizio di Gerusalemme (2 Cronache 36:16–20)
Appena prima della caduta di Gerusalemme, l’autore di 2 Cronache osservò che le persone «si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti, finché l’ira del Signore contro il suo popolo arrivò al punto che non ci fu più rimedio» (2 Cronache 36:16). Dopo questo, il Signore invitò il nemico di Gerusalemme, i Caldei — la classe dirigente dei babilonesi — ad attaccare e obliterare Gerusalemme.
La chiave qui è che i cuori degli Israeliti erano insensibili alla parola del Signore. Avevano perso interesse. Il peccato è una condizione degenerativa che inizia piccola, perfino controllabile, ma se non arresa a Dio, cresce e prende il sopravvento sull’orientamento di base del nostro cuore. Una seconda osservazione agghiacciante qui è che il Signore chiamò i nemici degli Israeliti a distruggere Gerusalemme. L’interpretazione di questo testo illustra il fatto che quando ci abbandoniamo completamente al peccato, il Signore non ha altra scelta che ritirare la sua protezione spirituale; non perché non vuole proteggerci, ma perché abbiamo voltato le spalle a quella protezione.
Seminare e raccogliere (Luca 22:3; Atti 5:1–5)
Il libro di Luca fa un’affermazione che può essere molto problematica: «Satana entrò in Giuda, chiamato Iscariota, che era nel numero dei dodici» (Luca 22:3). Come può essere possibile per Satana entrare letteralmente nel cuore di un uomo che aveva passato anni nella cerchia più ristretta di Gesù? Questa è una lezione agghiacciante. Non solo è importante stare vicini al Signore, ma i nostri cuori devono essere fortificati da Gesù. Giuda passò anni fisicamente vicino a Gesù, ma il suo cuore non fu mai dato pienamente al Signore. Questo era il punto debole della sua armatura spirituale che lasciò entrare Satana.
In Atti, vediamo di nuovo questa caratteristica problematica quando Pietro chiese ad Anania, «perché Satana ha così riempito il tuo cuore da farti mentire allo Spirito Santo . . . ?» (Atti 5:3). C’è una battaglia spirituale cosmica intrecciata nella nostra vita quotidiana in modi che sono sia evidenti che velati. Può essere facile tralasciare aree critiche della nostra vita che hanno bisogno di Gesù. In modo simile, è possibile che ci aggrappiamo ad abitudini e azioni che ci fanno sentire bene a scapito di una piena resa a Cristo. Ma questo non è un messaggio sulle nostre opere, riguarda il nostro cuore.
Benedizioni esponenziali (Matteo 11:28–30)
Mentre può esserci un sentimento doloroso collegato ai temi e ai versetti di questa lezione, non dovrebbe esserci. Mentre portare enormi pesi è una caratteristica inevitabile di questa vita, Gesù ci promette che è sempre disposto a camminare accanto a noi, aiutandoci a portare i nostri pesi. «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto e umile di cuore; e voi troverete riposo alle anime vostre; poiché il mio giogo è dolce e il mio carico è leggero» (Matteo 11:28–30). L’immagine è chiara. Un bue può fare solo una certa quantità di lavoro da solo, ma quando è insieme a un altro bue, il lavoro compiuto non raddoppia, cresce esponenzialmente.
Nel suo libro Disappointment With God, Philip Yancey affronta così il fatto che la vita è difficile e ingiusta: «Nessuno è esente dalla tragedia o dalla delusione, Dio stesso non ne era esente. Gesù non offrì l’immunità, nessuna via per uscire dall’ingiustizia, ma piuttosto una via per attraversarla fino all’altra parte».[2] Accettare Gesù pienamente e aggiogarci con lui nella vita non ci esonererà dalle situazioni dolorose. Questa collaborazione potrebbe perfino portarci a una chiamata che sembra schiacciante e impossibile. Ma con Gesù che tira sul giogo insieme a noi, non solo ce la faremo, ma la nostra opera con lui porterà benedizioni esponenziali per il regno.
Rispondi
- Concentrandoti sulla bellezza di essere nello stesso giogo con il Signore, qual è un’esperienza nella tua vita che riesci a identificare che è stata molto difficile ma che è stata superata attraverso la tua relazione con Gesù?
- Come Geremia, a volte siamo chiamati a fare cose difficili per Cristo. Riesci a identificare una chiamata del genere nel tuo passato o forse nel tuo futuro?
3. Fai un inventario personale della tua vita, ci sono aree che vorresti dare o ri-donare al Signore?
[1] Alcune includono Geremia 11:18–23; 12:1–4; 15:10–12, 15–21; 17:14–18; 18:19–23; 20:7–18.
[2] Philip Yancey, Disappointment With God (Grand Rapids, Mich.: Zondervan Publishing, 1988) p. 217.
Lunedì 18 settembre
TESTIMONIANZA
Una vita santa che vale la pena vivere
di Lizzie Mattson, Lake Tapps, Washington, U.S.A.
Matteo 18:15–17
«Gli esseri umani sono proprietà di Cristo, perché da lui acquistati a un prezzo infinito e a lui legati dall’amore che Egli e il Padre suo hanno loro manifestato. Perciò, quanto dovremmo essere cauti nel nostro rapporto con gli altri! Gli uomini non hanno alcun diritto di sospettare il male nel prossimo. I membri di chiesa non hanno alcun diritto di seguire le proprie inclinazioni o i propri impulsi nei riguardi dei confratelli che possono avere sbagliato. Non si dovrebbero neppure formulare dei pregiudizi verso chi si è sviato dal momento che facendolo si getta il lievito del male nella mente del prossimo. Si trasmettono fra i membri di chiesa considerazioni sfavorevoli a un fratello o a una sorella. Questo comportamento è ingiusto e sbagliato perché è ispirato dalla scarsa disponibilità di alcuni a seguire le istruzioni date da Gesù».[1]
«Qualunque sia la natura del’offeso, essa non può giustificare il cambiamento del piano di Dio per quanto riguarda il chiarimento dei malintesi e il regolamento delle offese personali. Parlare da solo, nello spirito di Cristo, con la persona che ha sbagliato consentirà quasi sempre di appianare ogni difficoltà. Andate da chi è in difetto, col cuore pieno di amore e di simpatia, come faceva Cristo, cercando di risolvere il problema. Parlate con calma, e non vi lasciate sfuggire alcuna parola di collera. Parlate in modo da fare appello ai migliori sentimenti del vostro interlocutore e ricordate che “chi converte un peccatore dall’errore della sua via salverà l’anima di lui dalla morte e coprirà moltitudine di peccati”. Giacomo 5:20».[2]
«Cristo ha detto: “Se poi il tuo fratello ha peccato contro di te, va’ e riprendilo fra te e lui solo”. Matteo 18:15. Non parlatene con altri. Perché? Lo si dice a uno, poi a un secondo, a un terzo e il male cresce e cresce fino al punto da coinvolgere tutta la chiesa. Il programma di Dio, invece, è semplice: “fra te e lui solo”. “Non ti affrettare ad intentare processi, che alla fine tu non sappia che fare, quando il tuo prossimo ti avrà svergognato. Difendi la tua causa contro il tuo prossimo, ma non rivelare il segreto di un altro”. Proverbi 25:8, 9 Non tollerare il peccato nel tuo fratello, ma non lo rendere di pubblico dominio perché in tal caso crescerebbero le difficoltà e il rimprovero verrebbe interpretato come un ’occasione di rivalsa. Perciò correggilo nel modo indicato dalla Parola di Dio».[3]
Rispondi
- C’è qualcuno nella tua vita con cui hai bisogno di parlare, un parente, un amico, un collega, un insegnante?
- Guardare alle persone attraverso gli occhi di Cristo, come cambia il modo in cui ci relazioniamo con le persone che operano al di fuori dei confini di quello che pensiamo sia un comportamento cristiano accettabile?
[1] Ellen G. White, I tesori delle testimonianze , p.126
[2] Ibid.
[3] Ibid.
Martedì 19 settembre
EVIDENZA
Il mondo della prima chiesa di Paolo
di Craig Mattson, Lake Tapps, Washington, U.S.A.
Matteo 11:28–30; Galati 5:13–15
Nelle sue lettere, si può vedere la persona di Paolo che riversa cuore e anima per la gente che amava così tanto. Come la maggior parte delle lettere bibliche di Paolo, Galati dà al lettore un resoconto molto personale dei pesi del cuore di Paolo e della sua missione verso la chiesa. Il messaggio generale di Paolo ai Galati era uno di servizio altruistico agli altri e unità all’interno della giovane chiesa. Ma chi erano quei primi cristiani e che tipo di sfide affrontava Paolo nel cercare di comunicare e far crescere la prima chiesa cristiana?
Prima c’erano gli ebrei. Molti se non la maggior parte dei nuovi convertiti al cristianesimo erano ebrei che avevano accettato Gesù come il Messia profetizzato nella scrittura ebraica (l’Antico Testamento). Ma attenendosi alle tradizioni ebraiche, molti di questi nuovi cristiani vedevano Gesù Cristo e la fede in Cristo come un privilegio selettivamente ebraico, non da essere condiviso con i Gentili. Paolo, quindi, affrontava critiche quasi costanti e problemi da parte degli ebrei e dei cristiani che non avevano ancora afferrato l’intera portata del messaggio di Cristo a tutto il mondo. La Bibbia inglese Message traduce gli scritti di Paolo in Galati 5:13–15 come, «Dio vi ha chiamati a una vita libera. . . . Usate la vostra libertà per servirvi gli uni gli altri nell’amore; è così che cresce la libertà». In questo messaggio, Paolo chiamava la prima chiesa a pensare al di fuori dagli schemi ebraici/cristiani e a servire liberamente per mezzo dell’amore di Gesù, un amore che si estende a tutti dovunque.
Poi c’erano i Romani, governanti imperiali dell’intera regione mediterranea dove insegnò Gesù, si sviluppò il cristianesimo e dove Paolo viaggiò in lungo e in largo nei suoi viaggi missionari. L’era di Paolo era anche l’era romana chiamata la Pax Romana, un periodo di grande pace e prosperità che durò poco più di duecento anni. Era un bene vivere nell’impero romano a meno che non si fosse una minaccia alla grande stabilità politica dell’impero. I nuovi cristiani erano critici dei vizi romani e rifiutavano di adorare l’imperatore romano come un dio. Negli anni, questo si sarebbe sviluppato in una tensione che portò alla grande persecuzione della chiesa cristiana. Ma l’imperatore era solo uno dei molti dèi che erano adorati dai Romani. Una grande rete di templi agli dei costellavano il mondo romano, manifestando la loro fedeltà a quello che era un sistema complesso di mitologia.
Questo è stato l’inizio del grande movimento della chiesa cristiana, intrappolato tra un mondo ebraico che o rifiutava Gesù o lo voleva per sé, e un mondo romano di minaccia e adorazione pagana mitologica. Quanto deve essere stato rassicurante per i primi cristiani che ascoltavano le parole di Gesù ripetute tra i fedeli: «Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo» (Matteo 11:28)!
Rispondi
- Quali altri gruppi c’erano nel periodo dello sviluppo del cristianesimo? In che modo le idee di questi gruppi aiutano e danneggiano lo sviluppo della fede cristiana?
- Il mondo romano alla fine arrivò a legalizzare e perfino accettare largamente il cristianesimo. In che modo questa storia influenza la storia del cristianesimo?
Mercoledì 20 settembre
COME FARE
Facciamo il bene
di Alethea Miller, Graham, Washington, U.S.A.
Galati 5:15; 6:9, 10
«Portate i pesi gli uni degli altri» (Galati 6:2). «Perché Signore», chiedo, «quando ho così tanti pesi miei?» La maggior parte dei giorni sono riempiti da tutti i pesi della vita: svegliarsi all’alba, sedersi nel traffico tedioso per andare a scuola o a lavoro, i compiti, non aver dormito abbastanza, la lista non finisce mai. La pazienza si esaurisce. Ci troviamo a bisticciare con il nostro sposo, compagni di stanza, insegnanti, il capo o perfino nostri fratelli di chiesa. Prendersi i pesi degli altri o anche chiedere come sta una persona può sembrare spaventoso. Ma cosa succede quando scegliamo di fare qualcosa di buono per qualcun altro? Come ci fa sentire?
Condividere allevia i nostri pesi. Quando mettiamo gli altri prima di noi, stiamo riflettendo l’immagine di Gesù Cristo. Gesù camminò su questa terra tutti i giorni portando i pesi degli altri, e alla fine rilasciandoli sulla croce. «Non ci scoraggiamo di fare il bene; perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo» (Galati 6:9). La pazienza nei confronti dei nostri fratelli e sorelle in Cristo è mostrare amore e rispetto per loro proprio come mostriamo amore e rispetto ai membri della nostra famiglia. Condividere i nostri pesi con gli altri mostra che possiamo renderci umili e lasciare che gli altri aprano a loro volta il loro cuore a noi. Ci rende anche più generosi, comprensivi e simili a Cristo.
La chiesa dovrebbe essere un luogo di rifugio, non un ricettacolo di pettegolezzi, indebolimento e maldicenze. «Ma se vi mordete e divorate gli uni gli altri, guardate di non essere consumati gli uni dagli altri» (Galati 5:15). Dobbiamo amarci gli uni gli altri, appoggiarci gli uni sugli altri nel momento del bisogno. Aiutare gli altri non dovrebbe darci un senso di superbia o vanagloria, ma un sentimento di gioia dato da Dio. La nostra fede è resa perfetta dalle nostre opere, non al contrario. Se servire porta alla superbia, allora il servizio che rendiamo non viene praticato con un cuore di Dio. Tuttavia, se per il nostro profondo apprezzamento dell’amore di Dio per noi ricambiamo quell’amore a chi ci circonda, la superbia non entrerà neanche in scena. La gioia del servizio e il collegamento che sentiamo con il Signore come risultato sarà la nostra ricompensa più grande.
Quindi come troviamo questa gioia nell’aiutare gli altri o condividendo i loro pesi? Un modo è semplicemente di parlare alle persone. Niente secondi fini, niente discorsi raffinati speciali. Parla e basta. E non solo con i tuoi amici e conoscenti, ma trova altri al di fuori della tua cerchia e dialoga. Forse una persona anziana che ha perso il coniuge, o qualcuno con cui hai litigato nel passato. Identifica una relazione danneggiata o spezzata e fai il primo passo nel ricucire i rapporti. Contatta un individuo che è molto diverso da te e arriva a conoscere la sua storia personale. In breve, dialoga.
Rispondi
- Come possiamo trovare modi per renderci umili ed essere di servizio agli altri, condividendo i loro pesi?
- Paragona pesi fisici a pesi mentali.
Giovedì 21 settembre
OPINIONE
Signore, di chi sarò servo?
di Julia Armstrong, Auburn, Washington, U.S.A.
Galati 6:10
Forse uno dei concetti cristiani più difficili da vivere si trova in Galati 6:10. Anche se è relativamente semplice da capire, questo versetto elude la natura umana eppure è un versetto che dovrebbe applicarsi a tutti, non solo ai cristiani. Mentre potrei vedere questo versetto come un’affermazione universale, avvicinarsi a questo versetto come cristiani potrebbe essere una questione complicata. Il versetto ci comanda di andare da tutte le persone in servizio, non solo da chi la pensa come noi o condivide le stesse convinzioni filosofiche. Tutti. Questo è difficile.
Viviamo in un mondo che stratifica i suoi abitanti. Etichettiamo e raggruppiamo gli altri in categorie che ci rendono più facile operare e negoziare la società. Ma il libro dei Galati ci dice di servire tutti, a prescindere dal loro posto nella società. Questo versetto ci sfida anche a servire senza considerare quello che gli altri sentono per noi o quello che noi sentiamo per loro. Questo può presentare una difficoltà enorme se non fosse per l’amore di Cristo.
Nella sua guida allo studio della Bibbia, William Barclay scrisse, «Potevano solo accettare con gratitudine e meraviglia ciò che Dio offriva; la cosa importante non era cosa potevamo fare per noi stessi ma cosa Dio ha fatto per noi».[1] È solo quando ci rendiamo conto della profonda realtà stupefacente che nonostante il nostro peccato, Dio ci ha amati ed è morto per noi, che possiamo poi rivolgerci alla società e vedere tutte le persone con occhi amorevoli.
Tuttavia, c’è una frase problematica in Galati 6:10 quando Paolo dice di servire tutti, ma «specialmente ai fratelli in fede». Paolo sta dicendo davvero che dovremmo trattare i credenti meglio dei non credenti? O potrebbe essere che Paolo, nello scrivere alla nuova giovanissima chiesa in Galazia, stia dicendo loro di essere uniti come un corpo cristiano sotto Cristo. Dobbiamo ricordare che, ai tempi della lettera di Paolo, la chiesa cristiana era piccola, fragile, radicale e fondamentalmente illegale. Mentre lo scritto di Paolo chiama chiaramente i seguaci di Cristo a servire tutti, Paolo è anche preoccupato che quelle nuove piccole comunità cristiane si avvicinino per sopportare le pressioni della società predominante.
Quindi com’è per noi oggi? Dobbiamo servire tutti, ma servire i nostri fratelli in fede più o in modo migliore dei non credenti? Attingendo al consiglio di Paolo alla chiesa della Galazia, il nostro mandato è senza dubbio di servire tutti i segmenti della nostra società stratificata con l’amore e lo zelo di Cristo. Ma dobbiamo anche stringerci, in una relazione speciale, al nostro corpo della chiesa come un mezzo per connettere e costruire la nostra fede collettiva.
Rispondi
- Come puoi servire gli altri attivamente oggi?
- Quanto tempo dedichi al servizio della tua comunità non ecclesiastica e quanto tempo dedichi al servizio nella tua comunità ecclesiastica?
- Quale individuo o gruppo potresti stare tralasciando nella tua comunità? Come puoi sviluppare una strategia per raggiungerli personalmente e come chiesa?
[1] William Barclay, The Letters to the Galatians and Ephesians, The New Daily Study Bible (Scotland: Saint Andrew Press, 2002) p. 13.
Venerdì 22 settembre
ESPLORAZIONE
L’amore copre tutto
di Nadine Joseph, Brooklyn, New York, U.S.A.
Galati 6:10
CONCLUSIONE
È confortante sapere che siamo tutti figli di Dio e non, a prescindere dalla nostra età, suoi nipoti. Questo ci lascia con poco più di 7,4 miliardi di fratelli e sorelle in tutto il mondo che ci viene detto da Dio di amare e insegnare di lui. Con la maggior parte di loro non ci incontreremo mai, non avremo l’opportunità di fare loro del bene o di condividere l’amore di Dio. Però abbiamo il privilegio di essere in grado di dimostrare «bontà» ai membri della famiglia più vicini a noi; questi includono tutti quelli che vediamo e con cui interagiamo regolarmente. Ma questa settimana, Paolo ci esorta in Galati 6:10, di fare «del bene» a tutti, specialmente a chi è nella famiglia di fede. Estendiamo amore, compassione, perdono, misericordia e grazia gli uni gli altri; portiamo i pesi gli uni degli altri perché questo è il vero vangelo vivente.
PROVA A
- Disegnare, dipingere o fare un collage raffigurante come potrebbe essere la chiesa che pratica il principio trovato in Galati 6:10: fare del bene a tutti, specialmente ai «fratelli in fede».
- Scrivere una breve poesia o una storia che descriva modi in cui possiamo essere più pazienti e compassionevoli gli uni con gli altri in chiesa.
- Ascoltare gli inni «Tis Love That Makes Us Happy» (n. 579 dell’innario Seventh-day Adventist Hymnal) o «È la casa un paradiso» (n. 435 dell’innario Canti di Lode). Guarda come si collegano al principio chiave di fare del bene a tutta la società, specialmente agli altri membri di chiesa.
- Organizzare un’attività per la tua classe fuori dal contesto della chiesa per conoscere e capire meglio i membri della tua classe.
- Meditare sul tema della settimana di fare del bene «a tutti», specialmente ai «fratelli in fede». Rifletti su modi in cui puoi fare «del bene» nella tua comunità e chiesa locale.
- Creare un breve sketch che raffiguri come possiamo portare i pesi gli uni degli altri come famiglia di chiesa.
- Guardare come animali imparentati interagiscono gli uni con gli altri. Che lezioni possiamo imparare su come comportarci gli uni con gli altri in chiesa?
CONSULTA
Matteo 5:43; 1 Tessalonicesi 5:15; 1 Pietro 4:8; Ebrei 13:16.
Ellen G. White, Gli uomini che vinsero un impero, capitolo 1, «Il piano di Dio per la sua chiesa»; capitolo 3, «Il grande mandato».
Greg Gilbert, What is the Gospel? (Crossway, 2010), capitolo 7.
Raymond C. Ortlund Jr., The Gospel: How the Church Portrays the Beauty of Christ (Crossway, 2014), capitolo 2.
LEZIONI PER GIOVANI (18-35 ANNI)
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