Lezione 13
23 – 29 dicembre
Il vivere cristiano
«Ma tu, perché giudichi tuo fratello?» E anche tu, perché disprezzi tuo fratello? Poiché tutti compariremo davanti al tribunale di Dio» (Romani 14:10)
Sabato 23 dicembre
INTRODUZIONE
Scambiato al 100 percento
di Josh Hester, Council Bluffs, Iowa, U.S.A.
Genesi 15:6; Giovanni 3:18; Romani 4:3, 22; 2 Corinzi 5:10; Apocalisse 22:17
Chiamare qualcuno dopo mezzanotte, o chiamare il suo insegnante in generale, non era normale per Jason, ma non sapeva a chi altro rivolgersi. Come poteva andare male in religione? Forse avrebbe potuto trovare aiuto. Era troppo tardi? Quando il professor Haskel rispose, la sua voce rilassata e fiduciosa sorprese Jason.
«Jason, rilassati, andrà tutto bene. Guarda, fidati, me ne occuperò io. Farò in modo che tu passi».
A questo punto, Jason aveva due possibilità: 1) poteva prendere il suo insegnante in parola, o 2) poteva continuare a dare di matto e probabilmente non passare l’esame comunque.
Da tipico studente universitario, continuò con l’opzione 2: preoccuparsi e stressarsi. E l’esame arrivò comunque il giorno dopo.
Diciassette anni dopo
«Dio, non sono pronto per morire. Non so cosa fare», pregò Jason, a malapena cosciente. Le sue lacrime bagnavano il camice da ospedale, la sua voce era rauca in quest’ultimo sforzo. Come poteva morire per una rissa nel suo locale?
«Figlio, abbi pace. Andrà tutto bene. Credi in me e sarai salvato».
A questo punto, Jason aveva due possibilità: 1) poteva prendere Dio in parola, o 2) poteva restare infelice e vuoto sul suo letto di morte. Ma questa volta Jason non scelse la seconda opzione.
Lezioni dall’esame
Quando Jason sostenne l’esame diciassette anni prima, non lo passò, come si aspettava. Ma lo studente accanto a lui seguì il consiglio dell’insegnante e chiese aiuto. Il professor Haskel poi prese la sua copia personale dell’esame, che aveva compilato perfettamente, e scrisse il nome dello studente in cima. Lo studente prese il massimo dei voti per essersi fidato dell’insegnante, mentre Jason non lo superò.
Iniziando il nostro cammino cristiano, dobbiamo prima vedere come Gesù ci ha trattato. Gesù ha fatto l’esame per noi così che noi potessimo passarlo. E poi, come il professor Haskel voleva che la sua classe imparasse, Gesù ci ha attribuito la sua vita perfetta — anche se noi non lo meritavamo. Ha messo il nostro nome sul suo esame perfetto, con il punteggio perfetto. Jason è stato salvato in quel letto di ospedale perché credeva in Dio e gli fu contato come giustizia; passò l’esame più importante.
Domenica 24 dicembre
LOGOS
La relazione più grande
di Helena Herber, Saint Helena, California, U.S.A.
Romani 4:13; 5:1, 2; 10:1, 2
Con l’arrivo di Cristo sulla terra, la percezione di Dio cambiò drasticamente. La «vera luce» (Giovanni 1:9) brillò splendente sul pianeta terra, rivelando chiaramente il carattere d’amore di Dio che Satana aveva cercato di nascondere nelle tenebre. Cristo è venuto a mostrare che la salvezza non era qualcosa da guadagnare seguendo attentamente una serie di regole rigide, ma piuttosto «il dono di Dio. Non è in virtù di opere» (Efesini 2:8,9), dato con grazia dal sacrificio di Gesù. Dato che la nostra salvezza è un dono di grazia, allora per amore seguiamo le linee guida dateci da Dio il Padre e ci operiamo per costruire una relazione con lui e suo Figlio.
Pace e salvezza attraverso la fede (Romani 5:1,2)
In Romani, Paolo afferma costantemente che la salvezza è raggiunta attraverso la fede in Gesù Cristo e non attraverso le nostre opere. Gli Ebrei erano arrivati a credere che contare i loro passi il giorno di sabato, non mescolare materiali nei loro indumenti, essere circoncisi, essere il popolo eletto di Dio e altre opere avrebbero portato loro la salvezza. Ma in Romani 5:1, Paolo chiarisce le loro convinzioni errate dicendo, «Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore». La pace a cui si riferisce è la libertà dal peccato, un risultato del sacrificio che Dio ha fatto mandando suo Figlio a morire per i nostri peccati. Fidandoci e avendo fede nei meriti di Cristo e non nei nostri, anche noi possiamo avere, «per la fede, l’accesso a questa grazia» (Romani 5:2) e assicurarci la nostra salvezza.
L’esempio di grande fede di Abraamo (Romani 4:13)
In Romani 4, Paolo usa una storia nota dell’Antico Testamento per illustrare il valore della fede. Ricorda la storia di Abraamo, portando alla mente dei lettori le difficoltà di Abraamo e Sara nell’avere figli. Nonostante il fatto che Abraamo «aveva quasi cent’anni» (Romani 4:19) e «Sara non era più in grado di essere madre» (Romani 4:19) per la vecchiaia, Dio promise che avrebbero avuto un figlio, attraverso cui sarebbero state stabilite molte nazioni e da cui sarebbe venuto il Messia. Molti avrebbero riso della promessa data la loro età, ma Abraamo «davanti alla promessa di Dio non vacillò per incredulità» e fu «pienamente convinto che quanto egli ha promesso, [Dio] è anche in grado di compierlo» (Romani 4:20, 21).
Paolo illustra la potenza dell’avere una fede forte e salda in Dio e del fidarsi dell’abilità di Dio di compiere ciò che ha promesso. Abraamo ha creduto nel piano del Signore e ha seguito le istruzioni ricevute. Fidandosi dell’abilità di Dio e non della propria, è diventato il padre dell’«erede del mondo» (Romani 4:13a). Dio non ha fatto la promessa ad Abraamo «in base alla legge» (v. 13b) o, in altre parole, a causa delle opere di Abraamo; piuttosto, la promessa è stata fatta «in base alla giustizia che viene dalla fede» (v. 13c), o perché Abraamo credeva.
Paolo usa questa storia della fede di Abraamo come illustrazione e conferma di come la giustizia e il senso di giustificazione sono ottenuti. Dobbiamo ricordarci di seguire l’esempio di Abraamo, fidandoci del piano e dell’abilità di Dio, anche quando sembra impossibile. Immagina le benedizioni che abbiamo in serbo quando abbiamo fede!
Costruisci una relazione con Dio (Isaia 64:6; Romani 10)
In Romani 10, Paolo discute i componenti della fede necessari per raggiungere la salvezza attraverso Gesù Cristo. Inizia il passaggio riconoscendo che gli Israeliti avevano zelo per Dio, ma questo era «senza conoscenza» (Romani 10:2), cioè non era basato su una comprensione accurata della Scrittura. Gli Israeliti, «ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio» (Romani 10:3). Questo significa che tentavano di garantirsi la salvezza con le loro opere e fidandosi della propria integrità, piuttosto di fidarsi di quella di Dio. La fede vuol dire rendersi conto che la mia «giustizia [è] come un abito sporco» (Isaia 64:6) e chiedere a Cristo di mettere la sua veste pura di giustizia su di me.
Rispondi
- Come puoi intensificare la tua relazione di fede con Gesù Cristo?
- Quali sono i componenti essenziali della tua relazione con Dio mentre viaggi verso la salvezza?
- Quali sono alcune delle tue «opere» spirituali a cui ti affidi, più che affidarti alla giustizia di Cristo?
Lunedì 25 dicembre
TESTIMONIANZA
Pentimento: compito mio o dono di Dio?
di Sarah Ventura, Winona, Minnesota, U.S.A.
Romani 15:13
«Molti sono confusi su ciò che costituisce il primo passo nell’opera di salvezza. Si pensa che il pentimento è un’opera che il peccatore deve fare lui stesso affinché possa andare a Cristo. Si pensa che il peccatore debba cercare di abilitarsi per ottenere la benedizione e la grazia di Dio. Ma se è vero che il pentimento deve precedere il perdono, solo il cuore affranto e contrito è gradito a Dio, tuttavia il peccatore non può da solo arrivare al pentimento e nemmeno andare a Cristo. Se il peccatore non si pente, non sarà perdonato. Ma la questione decisiva è se il pentimento è opera del peccatore o è un dono di Cristo. Prima di andare a Cristo, il peccatore deve aspettare di sentire il rimorso? Il primo passo è accettare l’intervento dello Spirito Santo; e se l’uomo risponde a questo invito, egli avanza verso Cristo per ricevere la grazia del pentimento.
Il peccatore è rappresentato come una pecorella smarrita. Essa non ritorna mai da sola fintanto che il pastore non va alla sua ricerca. L’uomo non può pentirsi senza l’intervento dello Spirito di Dio e rendersi degno della benedizione e della giustificazione. Gesù Cristo cerca costantemente di attrarre il peccatore a Sé affinché contempli l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Noi non possiamo fare un passo verso la vita spirituale senza l’aiuto di Cristo, perché solo Lui può rafforzare l’anima e condurci al pentimento».[1]
Rispondi
- Se un peccatore non può portarsi al pentimento, come dovremmo comportarci con chi è impenitente?
- Se non è la pecora smarrita che si riporta all’ovile ma Cristo che riporta la pecora indietro, abbiamo da temere per coloro che potrebbero essere «pecore smarrite»?
- La nostra chiesa come può trasmettere meglio il messaggio che la salvezza non viene dalle opere? C’è qualcosa che la nostra chiesa sta facendo che mina o contraddice questa verità?
[1] Ellen G. White, Messaggi scelti, vol. 1, p. 328
Martedì 26 dicembre
EVIDENZA
Unità più profonda
di J-Fiah Reeves, Houston, Texas, U.S.A.
Matteo 15:10–20; Romani 14:14–23; 1 Corinzi 8
Gli Ebrei tenevano le leggi di Mosè in grande considerazione ma tenevano le loro leggi tradizionali aggiuntive sul cibo in considerazione ancora più grande. Gli Ebrei guardavano con disprezzo ai Gentili perché non osservavano quelle leggi riguardanti il cibo e l’igiene. Andarono anche da Gesù quando pensavano che le stesse trasgredendo (Matteo 15). Quando Paolo scrisse ai cristiani di Roma, sapeva che c’erano sia Ebrei che Gentili nella chiesa. Paolo stava scrivendo agli Ebrei che si sentivano minacciati da questo afflusso di Gentili nella chiesa e la loro espressione della propria fede in Gesù.
Dopo aver discusso una moltitudine di temi, Paolo infine affronta le pratiche alimentari degli Ebrei e dei Gentili. Paolo dichiara in Romani 14:14, «Io so e sono persuaso nel Signore Gesù che nulla è impuro in sé stesso; però se uno pensa che una cosa è impura, per lui è impura». Questo versetto agli Ebrei potrebbe sembrare una defezione di Paolo dalla parte dei Gentili, dichiarando le loro regole sul mangiare obsolete e solo una questione di opinione, ma Paolo continua il suo discorso nel versetto 15: «Ora, se a motivo di un cibo tuo fratello è turbato, tu non cammini più secondo amore. Non perdere, con il tuo cibo, colui per il quale Cristo è morto!» Nel versetto 17 continua dicendo, «perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo».
Piuttosto che del cibo vero e proprio, Paolo parla di una questione più profonda: l’unità nel corpo di Cristo. Paolo non sta dicendo ai Gentili di diventare immediatamente cristiani kasher; né sta dicendo agli Ebrei di abbandonare le loro credenze kasher. Sta dicendo a tutti noi che non vale la pena distruggere il regno di Dio per delle regole umane sul cibo. Gesù non è morto per il cibo, per gli edifici, per le dottrine, i vestiti o il prestigio; è morto per l’umanità.
E noi oggi? Quanto siamo interessati all’unità del corpo di Cristo? Siamo disposti a rinunciare a cose nella nostra vita che potrebbero non essere un peccato ma che sono un ostacolo per i nostri fratelli e sorelle? Siamo disposti a mettere gli altri davanti a noi e a vivere come ha vissuto Cristo? Questo era il messaggio di Paolo alla chiesa romana, ed è ancora vero oggi. «Cerchiamo dunque di conseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla reciproca edificazione» (v. 19).
Rispondi
- Quali sono alcune cose nella nostra vita che potrebbero essere un ostacolo per altri credenti?
- Dove segniamo la linea tra il compromesso e l’unificazione nel corpo di Cristo?
- A Dio interessa veramente quello che mangiamo? (vedi 1 Corinzi 3:19; 6:12–20; 2 Corinzi 6:16).
Mercoledì 27 dicembre
COME FARE
Come aggiustare il tuo prossimo
di David Deemer, Loma Linda, California, U.S.A.
Romani 14:19, 22
La tua pace mentale è mai stata interrotta da qualcosa che doveva essere aggiustato?
Io tendo a essere un «riparatore». Vedo cose che gli altri trascurano. Questo include cornici storte, cardini oscillanti e rubinetti gocciolanti. Ognuna di queste cose mi dà fastidio fondamentalmente perché non è come dovrebbe essere.
Penso che ognuno di noi abbia un lato che vuole «aggiustare» le cose… e le altre persone. Una spinta interiore a migliorare il mondo di solito è un buon tratto, ma si può sviluppare un problema con questo tipo di modo di pensare. Gesù ne parlò sul suo sermone sul monte. Prima disse alla folla di non giudicare. (In questo senso, giudicare può essere considerato un senso di superiorità che fa apparire gli altri in modo peggiore per poter sembrare migliore di loro). Gesù poi usò un linguaggio drammatico per renderlo un punto memorabile: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo?» (Matteo 7:3).
Ellen G. White diede consigli ai credenti su questioni simili. Nel 1860, scrisse ad amici a Mansville, New York, offrendo consigli a credenti che affrontavano disaccordo nella chiesa. Anche se la questione non riguardava il cibo offerto agli idoli o le feste religiose come in Romani 14, la White offrì un’idea della natura di questo disaccordo. Notò che la guerra di Satana contro la chiesa del rimanente «spesso inizia tra fratelli».[1] In più, osservò l’arrivo della guerra attraverso membri che «cadono sotto le tentazioni di Satana e cominciano la guerra essi stessi».[2]
Come succede? Sotto che tentazione cadono? Alla fine della lettera, la White scrive questa affermazione forte: «Ma è molto sbagliato, per coloro che vengono tra voi, comprendendo la vostra fede, e poi cercando di vincolare i vostri sentimenti e testimonianza per fare come vogliono».[3]
Forse questo desiderio di migliorare chi ci circonda camuffa la vera motivazione del nostro comportamento: crediamo che le nostre convinzioni siano migliori di quelle del nostro prossimo. Ellen White, Paolo e Gesù ci chiamano a guardare dentro di noi prima di guardare al di fuori; a rispettare le convinzioni degli altri come vorremmo che le nostre fossero rispettate; a occuparci dei nostri problemi prima di tentare di aggiustare i problemi che percepiamo negli altri. Perché Gesù ha detto che abbiamo delle travi nei nostri occhi mentre gli altri hanno delle pagliuzze nei loro? Forse è una questione di rilevanza: i nostri problemi hanno bisogno di essere aggiustati più di quelli dei nostri amici.
Rispondi
- Quali sono tre situazioni in cui le convinzioni di un gruppo o di un individuo sono state imposte ad altri? (Gli esempi non devono venire obbligatoriamente da situazioni unicamente avventiste, per es., l’Inquisizione).
- Quali sono le conseguenze del minimizzare le convinzioni degli altri?
- Come coinvolgiamo gli altri in modi che rispettino il loro diritto di libera scelta pur affrontando le molte incomprensioni su Dio che potrebbero avere?
[1] Ellen G. White, Lettera 20, 1860
[2] Idem
[3] Idem
Giovedì 28 dicembre
OPINIONE
Sola fede
di Francine Eulizier, Wethersfield, Connecticut, U.S.A.
Efesini 5:8
La mia fede mi ha portato a Lincoln, in Nebraska. Ti potresti chiedere, «Cosa ci fa una ragazza qui negli stati medio-occidentali, così lontano dalla costa orientale?» La risposta che do a tutti è: «Dio ha scelto questo posto per me!»
Sono diventata un’avventista del settimo giorno il 19 aprile 2014. Dio ha aperto i miei occhi alla verità nel momento perfetto. Egli è un Dio puntuale, e il suo piano è molto più grande di qualsiasi piano io potessi immaginare. Sono l’unica avventista del settimo giorno nella mia famiglia. Prego che un giorno i miei genitori e i miei fratelli si rendano conto della verità, e il mio ruolo è di essere quel faro di cui Dio si serve per attirarli a sé.
Un anno prima di questa trasformazione nella mia vita, stavo attraversando un brutto periodo spiritualmente. Ero sposata da quasi tre anni. A ventitré anni stavo attraversando un divorzio. Mi sentivo vuota e sola. Volevo isolarmi da tutti e restare in solitudine. Dopo questo grosso evento nella mia vita, non volevo neanche avvicinarmi a una chiesa. Smisi di andare del tutto. Smisi di credere che c’era un Dio. Mi chiedevo perché Dio aveva lasciato che accadesse tutto questo. Le mie domande si trasformarono in rabbia, frustrazione, delusione e depressione.
I miei amici e la mia famiglia, che sapevano cosa stavo attraversando, mi dissero che sarebbe andato tutto bene. Non volevo sentire quello che avevano da dire. Come potevano saperlo? Non ne avevano idea.
Iniziai a pregare di nuovo e a leggere delle meditazioni. Non mi piaceva la sensazione di vuoto che riempiva la mia anima. Ascoltavo l’autoradio, che era sulla stazione KLove, e sentivo storie edificanti o messaggi su come Dio stava operando nella vita degli altri. So che Dio sistema le cose per il nostro bene e per la sua gloria. La vita sulla terra non dovrebbe essere facile. Dio è qui per guidarci attraverso le valli.
Volevo conoscere meglio Dio e lasciare che controllasse tutto nella mia vita. Iniziai a sviluppare una relazione con Dio che non avevo mai avuto prima. Lasciai tutti i miei pesi su di lui e aspettai che mi guidasse.
Volevo che gli altri sapessero che Dio non ti lascia mai quando le speranze sono perdute. Quando ero nel mio momento peggiore, egli era lì. Quando stavo lottando emotivamente, era lì. Dio è sempre lì. «Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza, amore; ma la più grande di esse è l’amore» (1 Corinzi 13:13). Il suo amore non viene mai meno.
Per iniziare la mia giornata, leggo un versetto nella Bibbia e lo recito a mente per tutto il giorno. Vedo la Bibbia come la mia bussola che dirige la mia mente, il mio corpo e la mia anima. Giorno per giorno, incontriamo ostacoli nella vita come delusioni, tristezza e solitudine. Con quegli ostacoli vengono trionfi, gioie e risultati.
Non vergognarti del tuo passato. So che Dio porterà il compagno giusto per me quando saremo entrambi pronti. Devo concentrarmi sulla mia relazione con Cristo prima di poter lasciar entrare qualcuno. Sono fortunata ad aver attraversato tutto questo e di essere in grado di guardare indietro e vedere quanta strada ho fatto. Non rinunciare a fidarti di Dio nonostante la tua situazione corrente. Egli può cambiare le cose e lo farà. Galati 6:9 dice, «Non ci scoraggiamo di fare il bene; perché, se non ci stanchiamo, mieteremo a suo tempo».
Venerdì 29 dicembre
ESPLORAZIONE
Riconciliati?
di Ashley M. Wagner, Union Springs, New York, U.S.A.
2 Corinzi 5:18-20
CONCLUSIONE
Ci verrebbe da pensare che essere riconciliati con gli altri sia più facile per chi si è riconciliato con Dio e questo dovrebbe valere specialmente per chi crede come noi. Perché spesso non è così? Come possono i cristiani diventare più unificati e meno preoccupati di essere tutti nello stesso punto esatto del viaggio spirituale che stiamo intraprendendo?
Che cosa possiamo fare nella nostra vita quotidiana per vivere con misericordia e sensibilità, con compassione e amore, condividendo gioia, pace e speranza con chi incontriamo e con cui lavoriamo tutti i giorni? Perché dobbiamo farlo? È per compiacere Dio, o per renderci umili per riflettere meglio il carattere di Cristo nella nostra vita? Come sarà il riflesso perfetto di Cristo in te oggi?
PROVA A
- Scrivere su come essere in pace con i tuoi nemici.
- Creare un collage che illustra modi in cui i cristiani possono dimostrare unità gli uni con gli altri.
- Riguardare situazioni in cui non ti sei sentito in unità con altri credenti. Cosa potresti fare di diverso in quelle situazioni?
- Simulare una scena in cui i cristiani sono unificati in un animo solo e dimostrare come glorificherebbero Dio con un’unica voce.
- Discutere con i tuoi amici su come dialogare con quelle persone nella tua comunità che sono diverse da te.
CONSULTA
Ellen G. White, Help for Daily Living, pp. 23–53.
Ellen G. White, Servizio cristiano, pp. 33–44.
Jerry D. Thomas, A Thoughtful Hour 2: Living the Beatitudes
LEZIONI PER GIOVANI (18-35 ANNI)
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