Lezione 11
8-14 settembre 2018
L’arresto a Gerusalemme
«La notte seguente il Signore gli si presentò e disse: “Fatti coraggio, Paolo, perché come hai reso testimonianza di me a Gerusalemme, così bisogna che tu la renda anche a Roma”».
(Atti 22:11)
Sabato
INTRODUZIONE
Eroi
di Stephanie Akenberger, Traverse City, Michigan, USA
2 Timoteo 3:12
Paolo scrisse nella sua lettera a Timoteo, «tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati» (2 Timoteo 3:12). Se lo Spirito Santo ha guidato Paolo a scrivere questo a un giovane avventista della chiesa primitiva, quanto più rilevanti sono queste parole per i giovani avventisti che vivono mentre la chiesa porta a compimento il suo destino terreno?
Tutti i cristiani sentono l’ansia che sento io quando si presenta il tema della persecuzione? La mia mente inizia a fare le domande: Sarò pronta? Ho quello che ci vuole per farcela? Sono abbastanza coraggiosa da andare in prigione o, ancora peggio, essere uccisa per la mia fede? E poi Dio mi ricorda tranquillamente 2 Corinzi 9:8, che dice, «Dio è potente da far abbondare su di voi ogni grazia affinché, avendo sempre in ogni cosa tutto quello che vi è necessario, abbondiate per ogni opera buona».
Ad Antiochia c’era un anziano di nome Ignazio che era detestato per la sua fede e criminalizzato per la sua pratica. Fu imprigionato e mandato a Roma dove sarebbe stato processato e ucciso per professare Gesù. Ignazio, rifiutando di essere scoraggiato, usò il suo viaggio come fece Paolo, predicando ai soldati che lo accompagnavano. È conosciuto per aver tenuto in mano le catene per facilitare il compito dei suoi carcerieri nell’incatenarlo. Incoraggiò le chiese in tutte le città lungo la via, perfino predicando loro la Parola di Dio! Quest’uomo, colto dalla persecuzione e in viaggio verso la sua morte, non poteva smettere di essere una benedizione per gli altri.
Scrisse alla chiesa di Roma, «Ora incomincio ad essere un discepolo. Nulla di visibile e di invisibile abbia invidia perché io raggiungo Gesù Cristo. Il fuoco, la croce, le belve, le lacerazioni, gli strappi, le slogature delle ossa, le mutilazioni delle membra, il pestaggio di tutto il corpo, i malvagi tormenti del diavolo vengano su di me, perché voglio solo trovare Gesù Cristo».[1]
È ricevendo quotidianamente la grazia di Dio che quelli che sono venuti prima di noi sono stati in grado di essere coraggiosi nella persecuzione devastante, di guardare con coraggio oltre il tramonto della loro vita terrena per vedere un futuro celeste più brillante. Sarà così anche per noi. Non dobbiamo temere ciò che ci aspetta, perché niente ci può separare dall’amore di Cristo quando viviamo con lui e per lui, ed egli agisce in noi e attraverso di noi. Possiamo essere fiduciosi che anche nei momenti più bui, «noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati» (Romani 8:37). Poi sarà rivelato quel vero eroismo che ha sempre distinto i figli di Dio.
Sarai annoverato tra i suoi figli?
[1] John Foxe, Foxe’s Book of Martyrs (ebook)
Domenica
LOGOS
Il desiderio di morte di Paolo
di Roxanne Dobson, Coral Springs, Florida
Atti 21:23-26; Atti 21:27-36; Atti 22:1-29; Atti 23: 1-10
La nostra storia si apre su Paolo, l’apostolo sempre in movimento; impegnato a predicare il vangelo, a evitare la morte, o entrambe le cose. Il periodo post-conversione di Paolo è caratterizzato dall’elusione di una serie di situazioni potenzialmente fatali. Come nuovo convertito a Damasco, gli Ebrei volevano la sua vita. Nei suoi viaggi missionari, gli Ebrei sembravano decisi ad annientare la sua esistenza. Come se questo non fosse abbastanza brutto, i Romani e i Greci odiavano il suo messaggio, e cercarono di farlo uccidere. Ma dopo tre viaggi missionari e la condivisione della sua testimonianza nel mentre, Paolo era (sorprendentemente) ancora vivo. Fino ad Atti 22, era riuscito a evitare di morire per mano di varie folle (ebree, romane e greche), e il governo romano.
Per questo è scioccante che Paolo abbia insistito nel suo desiderio di andare a Gerusalemme alla fine del suo terzo viaggio missionario. Durante il suo terzo viaggio, lo Spirito Santo aveva testimoniato più volte delle prove e tribolazioni che lo attendevano a Gerusalemme. Nonostante questi avvertimenti, Paolo tirò dritto. La sua affermazione agli anziani di Efeso potrebbe darci un’idea di perché lo fece: «Ed ecco che ora, legato dallo Spirito, vado a Gerusalemme senza sapere le cose che là mi accadranno. So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni. Ma non faccio nessun conto della mia vita, come se mi fosse preziosa, pur di condurre a termine con gioia la mia corsa e il servizio affidatomi dal Signore Gesù, cioè di testimoniare del vangelo della grazia di Dio» (Atti 20:22-24). Paolo aveva un desiderio di morte: desiderava morire a sé stesso così che potesse compiere il ministero che aveva ricevuto da Gesù.
Il ministero di Paolo (Atti 21:23-26)
Secondo Atti 9:15, 16, la missione di Paolo era di portare il nome di Gesù davanti ai popoli, ai re e ai figli d’Israele. Questo è specialmente rilevante nel contesto della chiesa cristiana primitiva, considerando che l’unità all’interno del corpo era un problema. Alcuni credenti ebraici disprezzavano predicare ai Gentili, e anche quando diventavano cristiani, li trattavano senza rispetto. Non solo, ma alcuni credenti ebrei credevano fermamente che i convertiti gentili dovessero osservare la legge mosaica per essere salvati, e non esitavano dall’insegnare ciò.
Era in questo contesto che Paolo scelse come priorità di condividere con i fratelli la sua testimonianza dell’opera tra i Gentili, quando arrivò a Gerusalemme. Com’era prevedibile, quando sentirono il suo resoconto, dissero che c’erano Ebrei che pensavano che Paolo stesse insegnando ai convertiti gentili di abbandonare gli usi ebraici. Mentre cercava di confutare questo, Paolo fu avvicinato nel tempio e attaccato in una sommossa, incitata da alcuni Ebrei dell’Asia.
Perché alcuni Ebrei erano così arrabbiati? (Atti 21:27-36)
Questo era uno di molti casi in cui gli Ebrei reagirono energicamente al messaggio di Paolo, che ci porta alla domanda: perché gli Ebrei erano così arrabbiati? Nel libro degli Atti, ci sono degli indizi sul perché parte degli Ebrei fosse opposta al movimento cristiano. Atti 6 ci dice che «. . . non potevano resistere alla sapienza e allo Spirito con cui [Stefano] parlava» (Atti 6:10). Questi Ebrei erano arrabbiati per l’influsso del Vangelo e la verità che questo messaggio conteneva. Rifiutavano l’idea che Gesù fosse il Messia attraverso cui era venuta la salvezza (Atti 13:46). Vedevano anche il predicare ai Gentili come problematico. Appena Paolo menzionò alla folla a Gerusalemme la sua missione di predicare il vangelo ai Gentili, la folla scoppiò per la rabbia (Atti 22:21, 22). Non solo, ma sostenevano che la legge mosaica fosse ancora necessaria, e questo era un punto su cui sono costruite le accuse contro Paolo; l’idea che Paolo detesti la legge e il tempio (Atti 21:28).
La testimonianza di Paolo (Atti 22:1-29)
Favorito dal suo arresto, Paolo sfruttò quest’opportunità per parlare alla folla che si era rivoltata. Condivise la sua testimonianza di come il Signore lo aveva convinto del cristianesimo e di condividerlo con i Gentili. Sapeva che la sua esperienza personale avrebbe avuto un impatto molto più grande rispetto a un’esposizione della verità. Paolo usò l’ebraico, quindi sappiamo che stava parlando appositamente al suo pubblico ebreo, e iniziò condividendo quanto la maggior parte della sua vita fosse immersa nelle tradizioni ebraiche. Creò un contrasto tra la sua vecchia vita come persecutore dei cristiani e la sua vita come cristiano, per mostrare che era cambiato drasticamente. Usò la sua testimonianza per illustrare come Dio è al centro del movimento cristiano.
Fissi sulla causa (Atti 23: 1-10)
Procedendo attraverso il sistema legale, Paolo sostenne la sua identità di cittadino romano. Superficialmente questo sembra un approccio egocentrico alla sofferenza per il vangelo, ma guardare con più attenzione ci ricorda che Paolo aveva intenzione di testimoniare a Roma (Atti 19:21). Sapeva che solo come cittadino romano avrebbe ricevuto un processo regolare nel sistema legale, e ricordò costantemente ai suoi carcerieri di essere un cittadino romano. Usò anche la sua identità come figlio di un fariseo e di ex fariseo per fare una forte leva su chi si opponeva a lui. E anche se sembrava che le sue intenzioni di predicare il vangelo fossero distrutte lungo la strada (Atti 22:22-25; 23:10; 23:13-15), Dio organizzò le situazioni di Paolo in un modo tale che Dio fosse glorificato. Non solo Paolo vide quante cose doveva soffrire per la causa di Cristo, portò anche il nome di Gesù davanti ai popoli, i re e i figli d’Israele (Atti 9:15, 16). Ma tenendo gli occhi fissi sulla causa di Cristo, Paolo raggiunse il suo obiettivo come strumento scelto del Signore.
Rispondi
- Dio cosa mi ha chiamato a fare come mio ministero?
- Il carattere di Dio com’è confermato nella nostra vita? Come possiamo condividere le nostre storie per meglio rappresentare il carattere di Dio?
- Quali promesse possiamo ricordare per trovare incoraggiamento quando predicare agli altri non va come ci aspettiamo?
Lunedì
TESTIMONIANZA
Unificati sotto di lui
di Abigail Almeida-Arrieta, Battle Creek, Michigan, USA
Atti 11:17
«Le verità divine hanno poca influenza sul mondo, mentre dovrebbero esercitare molta influenza attraverso il nostro modo di vivere… Possiamo affermare di essere discepoli di Cristo, possiamo affermare di credere in ogni verità contenuta nella Parola di Dio; ma questo non aggiungerà alcun bene al nostro prossimo a meno che il nostro credo non si traduca nella nostra vita quotidiana… Nessuna azione egoistica potrà mai servire la causa di Dio. La sua causa è quella degli oppressi e dei poveri. Nel cuore di quanti affermano di essere suoi discepoli manca la simpatia amorevole di Cristo, un amore più profondo per quelli che egli ha ritenuto tanto preziosi da dare la sua vita per la loro salvezza».[1]
«Gli apostoli, facendosi strada per Gerusalemme, andavano a visitare i fratelli delle città che attraversavano, e li incoraggiavano narrando la loro esperienza nell’opera di Dio, e la conversione dei Gentili alla fede».[2]
«(Pietro) aveva riferito come lo Spirito Santo era disceso sui Gentili, dichiarando: “Se dunque Iddio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato anche a noi che abbiamo creduto nel Signor Gesù Cristo, chi ero io da potermi opporre a Dio?” Atti 11:17 (Luzzi)».[3]
«Questo messaggio mostrava che Dio è imparziale e accetta e riconosce tutti quelli che lo temono. Pietro raccontò del suo stupore quando, mentre riferiva la verità a coloro che si erano riuniti nella casa di Cornelio, aveva testimoniato la discesa dello Spirito Santo sui Gentili e sui giudei che lo ascoltavano… Con questo Dio aveva avvertito Pietro di non considerare una persona inferiore all’altra, perché il sangue di Cristo poteva cancellare qualsiasi impurità».[4]
«La gloria del cielo consiste nel risollevare i caduti e nel consolare gli angosciati. Chiunque ha Cristo nel cuore farà altrettanto… Dio non fa distinzioni di nazionalità, razza o classe sociale. Egli è il Creatore di tutto il genere umano… In Cristo non c’è giudeo né greco né servo né libero (cfr. Gal 3:28), e tutti siamo «stati avvicinati mediante il sangue di Cristo» (Ef 2:13)… Dovremmo anticipare i dolori, le difficoltà, i problemi degli altri… Possono essere vestiti di stracci, rozzi e poco attraenti nell’aspetto, ma sono sempre proprietà di Dio… Sono membri della grande famiglia di Dio e i cristiani, in qualità di suoi amministratori, ne sono responsabili».[5]
Rispondi
- Pietro stava tentando di unificare la chiesa purificando i Gentili, senza dare chiare motivazioni perché i Giudei dovessero continuare a giudicarli. In che modo esprimiamo un giudizio indegno e inappropriato su quelle persone che tentano di cercare la salvezza?
- Come possiamo far sentire quelle persone che si trovano ai margini come i benvenuti nella chiesa e salvati da Cristo?
- In quali modi possiamo tentare di cambiare i cuori di quelli che pensano che le differenze nella nostra pelle o nella nostra cultura siano troppo drastiche per unificarci sotto la verità e il sangue purificatore di Cristo?
[1] Ellen G. White, Le parabole, p. 286
[2] Ellen G. White, Sketches from the Life of Paul, pp. 63,64
[3] Ellen G. White, Gli uomini che vinsero un impero, p. 121
[4] Ellen G. White, Gli uomini che vinsero un impero, p. 121
[5] Ellen G. White, Le parabole, pp. 288, 289
Martedì
EVIDENZA
Dimensioni di fede
di Valmy Karemera, Houston, Texas, USA
Giovanni 20:31
Mentre molti furono testimoni oculari dei miracoli di Cristo e gli credettero, ci furono molti che videro quegli eventi e si rifiutarono di credere. Ci sono dimensioni di fede? Lev Tolstoj, il famoso scrittore russo una volta disse, «Sono umano solo quando credo in Dio». La fede di Tolstoj in Dio definiva la sua identità, il suo significato e il suo scopo. Senza di essa, Tolstoj vedeva la vita come senza scopo e senza significato. Possiamo credere con le prove, credere senza prove, o credere nonostante le prove.
La convinzione con le prove si basa su prove empiriche (la base della scienza moderna). La fede di Tommaso, il discepolo di Cristo, richiedeva prove tangibili per credere alla resurrezione del Salvatore. Quanto spesso nel nostro cammino cristiano esigiamo prove concrete e tangibili per credere?
Nei suoi teoremi sull’incompletezza nel 1931, Kurt Gödel, un matematico brillante, capovolse il mondo della matematica. Dimostrò categoricamente come la dimostrazione o la confutazione di un dato sistema matematico fossero impossibili. Per esempio, per spiegare un sistema (x), abbiamo bisogno di un sistema (y) più grande ed esterno al sistema x. Per spiegare il sistema (y), abbiamo bisogno di un sistema (z) esterno e ancora più grande di y. L’intero processo diventa un continuum. Le implicazioni dei teoremi di Gödel sono che la convinzione senza le prove pervade tutta l’esistenza umana!
Considera la stranezza che va contro ogni logica della teoria quantistica, dove la realtà si comporta in modo così strano che la fisica newtoniana (classica) viene del tutto rovesciata. Al livello fondamentale della realtà, il dualismo onda-corpuscolo, come mostrato dall’esperimento della doppia fenditura, dimostra la complessità della natura. Come fa un fotone (materia) a «sapere» quando dividersi? Un fotone ha forse «una consapevolezza di osservazione» per cambiare il proprio comportamento da onda a corpuscolo?
La Bibbia abbonda di storie che illustrano questa convinzione nonostante le prove. Guarda i tre ragazzi ebrei che, senza avere premonizioni di carne che sopporta il fuoco, entrarono nella fornace ardente. Lo stesso è vero per Giobbe che disse, «Ecco, mi uccida pure! Oh, continuerò a sperare» (Giobbe 13:15), determinato ad andare avanti nonostante le difficoltà (il deteriorarsi della sua salute). La donna con le perdite di sangue è un altro esempio classico. Nonostante il verdetto dei medici e la barriera della folla, si spinse tra la polvere e i sandali della gente solo per toccare il lembo della veste di Cristo.
Alla fine, la convinzione con le prove (l’occhio della ragione) e la convinzione senza prove (l’occhio di niente) sono sorpassati dalla convinzione nonostante le prove (l’occhio dell’invisibile). Credere nonostante le prove si basa sulla Parola di Dio anche quando la logica dice che è impossibile. «La fede deve poggiare sull’evidenza e non sulla dimostrazione».[1]
[1] Ellen G. White, Principi di educazione cristiana, p. 100
Mercoledì
COME FARE
Senza paura e senza vergogna
di Andrew Park, East Lansing, Michigan
Romani 1:16, Giosuè 1:9
Nel libro degli Atti, Paolo non si vergogna e non ha paura di condividere il vangelo di Cristo a Ebrei e Gentili. È facile guardare il ministero di Paolo e vederlo come «un altro personaggio biblico», ma Paolo era un essere umano con un’indole peccatrice come noi. Tuttavia, sottomettendosi alla potenza modellante di Dio, Paolo diventò un testimone per il suo Maestro. Allo stesso modo, chiunque nasca veramente nella famiglia di Dio è chiamato a prendersi cura del pezzo di vigna che Dio gli ha affidato. Nella pratica, quali sono dei modi in cui possiamo rispondere alla chiamata a essere missionari dovunque ci troviamo?
Vedi il tuo campo missionario (Atti 23:11, Romani 1:16, Marco 10:45): Non solo chi è al di fuori della chiesa (amici, colleghi, compagni di classe, persone trascurate dalla società), ma anche chi è nella tua sfera immediata. Guardati intorno e valuta dove e come puoi essere utile. Il nostro campo missionario inizia nella casa e si estende dovunque andiamo.
Vai (Atti 21:11–14, Giosuè 1:9): Mettiti in situazioni dove puoi costruire delle relazioni. Se stai cercando di arrivare a qualcuno, vai a mangiare qualcosa insieme, invitalo a un evento nella tua chiesa, o semplicemente siediti e impara a conoscerlo! Con qualcuno nella tua sfera d’influenza interna, fai degli sforzi per passare del tempo insieme, aiuta dove puoi essere d’aiuto e sii proattivo nel mostrare che ti interessi.
Condividi (Atti 22:1–21, 1 Pietro 3:15; Giovanni 17:17): Una volta che hai costruito una relazione o quando si presenta l’occasione, non aver paura di condividere la testimonianza di come Dio ha lavorato nella tua vita. La nostra testimonianza è irrefutabile, e ascoltando e vedendo le storie di persone vere che sono state conquistate da Cristo, il messaggio del vangelo può diventare più tangibile e visibile per gli altri. Non saprai mai se qualcuno è aperto alle cose spirituali se non chiedi. Con uno spirito di preghiera, apri la conversazione verso temi spirituali, e impegnati in studi biblici faccia a faccia.
Prega per la saggezza e la pazienza (Atti 23:6–9, Matteo 10:16): Anche se il messaggio del vangelo e lo Spirito Santo è ciò che convince il cuore, ognuno viene toccato in modi diversi. Trova una base comune su cui relazionarti agli altri, e usala a tuo vantaggio. Ci vuole del tempo per tutto, e con tutto c’è un processo. Non ti scoraggiare se le cose non si muovono nel modo in cui ti aspettavi; prega per la guida e la sapienza dello Spirito Santo, svolgi il tuo compito con fede e lascia i risultati a Dio.
Rispondi
- Chi sono delle persone specifiche che puoi raggiungere, e quali sono dei modi pratici in cui puoi farlo?
- Nelle tue conversazioni quotidiane, quali sono modi in cui puoi spostare l’argomento verso le cose spirituali?
- Quali risorse per studi biblici ti sono disponibili? A chi puoi chiedere una guida nel conquistare le persone?
Giovedì
OPINIONE
Tutte le cose
di Nancy Schafner, Salt Lake City, Utah, USA
Atti 21:23–23:11
Tutto è andato al contrario. La vita è stata stravolta. Sembrava che tutto fosse stato fatto bene, ma è andato tutto male. Non doveva andare così! Gli sforzi più sinceri con intenzioni altruistiche hanno fallito. Ti sei mai sentito così? Se la risposta è sì, allora hai qualcosa in comune con Paolo.
Povero Paolo! Nei suoi valorosi sforzi di portare l’unità alla chiesa appena nata, finì incarcerato nella fortezza Antonia. Mentre le guardie lo portavano su per gli scalini della fortezza, Paolo riuscì a convincerli di lasciarlo parlare alla folla. Era contento di aver potuto dare la sua testimonianza. Poi, evitò di essere flagellato per via della sua cittadinanza romana. Quindi, la sua prima notte nella fortezza non fu così male. Il giorno successivo, però, la sua sessione con il sinedrio fu un disastro. Il risultato che Paolo voleva da questo viaggio stava svanendo velocemente.
La sua seconda notte di prigionia fu mentalmente angosciante. Paolo passò la notte rimproverandosi e ripensando alle sue decisioni. Aveva sbagliato nel soccombere al rituale della purificazione? L’aveva fatto solo per il bene dell’unità. Cosa ne sarebbe stato della sua evangelizzazione? Il suo ministero sarebbe finito in questo modo? Aveva tante altre cose che voleva fare. C’erano tante altre città in cui predicare la buona notizia di Gesù. «Senza dubbio riflettendo sugli eventi dei due giorni passati, Paolo mise in dubbio la saggezza del suo scopo nel visitare Gerusalemme nonostante i tanti avvertimenti di ciò che gli sarebbe successo là».[1]
Il suo fato sarebbe ironicamente stato la lapidazione di Stefano, nella quale aveva avuto un ruolo centrale? Pensò a Gesù, il suo redentore, che l’aveva salvato dall’essere perso nella schiavitù delle vecchie tradizioni. Paolo sapeva cosa accadeva quando il sinedrio era furioso con qualcuno. La sua morte era forse imminente?
Passò la notte aprendo il suo cuore in preghiera. Non sappiamo a che ora della notte successe, ma ci viene detto che «il Signore gli si presentò e disse: “Fatti coraggio, Paolo, perché come hai reso testimonianza di me a Gerusalemme, così bisogna che tu la renda anche a Roma”» (Atti 23:11).
L’angoscia di Paolo si trasformò in gioia. La promessa del Signore era dolcissima. Aveva sempre voluto andare a Roma. Non aveva immaginato di andarci in catene, ma non gli importava. Gesù aveva operato per tirarlo fuori dalla sua situazione difficile. Gesù è un esperto nel creare il bene dalle situazioni brutte.
Forse Paolo stava rimuginando sul suo periodo nella fortezza Antonia quando scrisse, «Tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno» (Romani 8:28)
Rispondi
- Quando la nostra vita è sconvolta e tutto sembra andare male, come manteniamo la nostra fede e la nostra speranza?
- Puoi pensare a un periodo della tua vita in cui Dio ha preso qualcosa di brutto e l’ha trasformato in qualcosa di buono?
[1] AAVV, Seventh-day Adventist Bible Commentary, vol. 6, p. 416
Venerdì
ESPLORAZIONE
Riconoscere gli impedimenti
di Isai McGrath, Cedar Springs, Michigan, USA
Giovanni 17:22, 23
CONCLUSIONE
Nessuno può contestare che l’unità della chiesa sia importante e necessaria per compiere la missione che ci è stata affidata di diffondere il vangelo. In Giovanni 17:22, 23 vediamo che non solo l’unità è essenziale nel lavorare insieme, ma l’unità stessa è una testimonianza di quello che Dio può fare nella nostra vita. Paolo affrontò diversi impedimenti nella sua ricerca dell’unità nella chiesa; il pregiudizio radicato nei confronti dei Gentili, l’orgoglio nazionale ebraico e la paura della persecuzione come risultato della non conformità. Prega che Dio continui ad agire in noi per renderci più simili a lui, perché solo allora saremo in grado di incontrarci in vera unità come corpo di Cristo, predicando la sua Parola e accelerando la sua seconda venuta.
PROVA A
- Paragonare le azioni degli Ebrei cristiani a quelle degli Ebrei non cristiani in come interagivano con Paolo. Quali azioni provocarono divisione e perché?
- Riflettere su alcune delle cose che hai affrontato a casa, scuola e a lavoro che hanno provocato dissenso e divisione. Quali erano i motivi? Come possono essere visti nelle nostre chiese?
- Creare un diagramma di Venn per valutare le differenze e somiglianze tra l’unità e la conformità. Come possiamo essere certi di sostenere l’unità e non la conformità?
- Intervistare delle persone nella tua chiesa chiedendo che tipo di cose considerano contribuire all’unità e quali cose creano divisione. Indaga su delle possibili soluzioni.
- Creare un collage di immagini che mostrano la divisione. In che modo l’unità può aver mostrato che Dio è all’opera?
- Riflettere sulla citazione che segue di A.W. Tozer in The Pursuit of God: «Hai mai pensato che cento pianoforti tutti accordati sullo stesso diapason sono automaticamente accordati tra di loro? Sono in sintonia dopo essere stati accordati non l’uno all’altro, ma a un altro standard al quale ognuno deve piegarsi individualmente. Così cento adoratori che si incontrano, ognuno di essi guardando Cristo, sono nel cuore più vicini l’uno all’altro di quanto potrebbero essere se diventassero attenti “all’unità” e distogliessero gli occhi da Dio per cercare una comunione fraterna più stretta».
CONSULTA
- Ellen G. White, Gli uomini che vinsero un impero, capitolo 38, «Paolo prigioniero».
- Ellen G. White, Sketches from the Life of Paul, capitolo 19, «Meeting with the Elders» e capitolo 20, «Paul a Prisoner».
LEZIONI PER GIOVANI (18-35 ANNI)
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