Lezione 12
15-21 settembre 2018
L’arresto a Gerusalemme
«E Paolo disse: “Piacesse a Dio che, con poco o con molto, non solamente tu, ma anche tutti quelli che oggi mi ascoltano, diventaste tali, quale sono io, all’infuori di queste catene”»
(Atti 26:29)
Sabato
INTRODUZIONE
Pazzi per Gesù
di Malcolm Thomson, Orlando, Florida, USA
Luca 9:24
Mentre riacquistavo familiarità con la storia di Paolo, mi sono trovato a fare eco a Festo quando grida, «Paolo, tu vaneggi» (Atti 26:24). Per capirci, non trovo che il fatto che Paolo rispetti il piano di Dio per la sua vita sia una cosa particolarmente dissennata; invece ho da obiettare alla sua disponibilità a sottomettere completamente la propria volontà.
Dal momento in cui accetta la chiamata di Dio dopo il suo incontro con Cristo sulla strada per Damasco, Paolo non sembra mai esitare in qualsiasi compito. Anche Mosè ed Elia, grandi servi di Dio, mostrarono riluttanza a seguire il piano di Dio per loro, considerando gli straordinari sacrifici concatenati. Ma Paolo cede completamente. È come se apprezzi di camminare lungo il sentiero del martire. Quando viene avvertito da un profeta che sarebbe stato imprigionato se fosse andato a Gerusalemme, Paolo dichiara di essere pronto «non solo a essere legato, ma anche a morire… per il nome del Signore Gesù» (Atti 21:10–13). E quando è imprigionato dai capi ebraici a Gerusalemme, invece di comportarsi con deferenza, il discorso diretto di Paolo infuria così tanto il sommo sacerdote e il concilio che gli costa quasi la vita (Atti 23:1–10). L’apparente disinteresse di Paolo per il proseguimento della propria esistenza deve essere da pazzi!
Mentre scrivo mi viene in mente la storia di un altro martire: Jim Elliot. Si sentì chiamato a predicare al popolo Waodani dell’Ecuador, un popolo violento noto ai loro vicini come Auca (da aqwa, la parola quechua per «selvaggio»). Jim lo sapeva ma non si fece dissuadere dalla sua missione. Passò diversi anni preparandosi per l’incontro imparando prima la lingua e la cultura quechua, montando un accampamento vicino alle terre tribali waodani, e reclutando altre persone che lo aiutassero nella sua opera.
Una delle reclute di Jim, Nate Saint, era un pilota che volando riuscì a trovare una comunità waodani vicina; la sorella di Nate, Rachel, fece amicizia con una persona waodani in esilio che insegnò al gruppo di missionari delle frasi waodani. Lanciando doni con il paracadute e parlando al popolo waodani nella loro lingua, il gruppo cercò di ottenere la loro fiducia. E sembrò funzionare quando i waodani ricambiarono. Incoraggiato, Jim e altri quattro missionari decisero di incontrare i waodani di persona. Tutti e cinque furono uccisi nel giro di una settimana.
La completa sottomissione della propria volontà a Dio è da pazzi, se si misura la sanità mentale secondo gli standard umani. Ma come servi di Dio, sottomettere la nostra volontà alla sua è l’unica cosa che possiamo fare con sicurezza. «Perché chi vorrà salvare la sua vita la perderà, ma chi avrà perduto la propria vita per causa mia la salverà» (Luca 9:24).
Domenica
EVIDENZA
Rispondi
Ti senti più al sicuro in compagnia di non credenti, dove può esserci meno critica severa, che in presenza della tua comunità di fede dove possono essere evidenti comportamenti empi, dissimili da Cristo?
Lunedì
LOGOS
Il messaggio senza catene
di Robert Miller, Orlando, Florida, USA
Atti 9:15; 20:22–24; 21:8–24; Galati 1:15
Tutte le cose cooperano… al bene? (Romani 8:28)
La storia dell’arresto e della prigionia dell’apostolo Paolo come delineata nel libro degli Atti è un esempio straordinario della provvidenza di Dio per il suo popolo, arrivando al suo obiettivo e avviando la chiesa cristiana. Questo è svolto contro forze potenti che erano intente a mantenere le tradizioni e a negare le verità profetiche. All’apparenza, osserviamo quella che sembra la lotta tra Paolo e la classe dirigente ebraica. Ma dobbiamo anche riconoscere il gran conflitto tra Cristo e Satana che si svolge sullo sfondo: Dio afferra costantemente la vittoria quando le cose sembrano negative e senza speranza.
«Tutte le cose cooperano al bene…» Ma dovremmo fare attenzione a come interpretiamo il significato di «bene». Le cose cooperano al bene non significa necessariamente che tutto andrà in un modo che piaccia a noi; ma andrà secondo la volontà di Dio e il suo buon disegno.
Dio non è sorpreso dall’arresto e la prigionia (Atti 9:15)
Quando Saulo sta perseguitando e uccidendo i membri della nuova chiesa, Dio non è preso di sorpresa dal dilemma. Vediamo un Anania preoccupato che si lamenta con Dio di Saulo, senza sapere che Dio ha già convertito il Saulo assassino perché diventi il suo nuovo portavoce. La risposta del Signore ad Anania in Atti 9:15, 16 fu, «Va’, perché egli è uno strumento che ho scelto per portare il mio nome davanti ai popoli, ai re e ai figli d’Israele; perché io gli mostrerò quanto debba soffrire per il mio nome».
Paolo seguì volontariamente il piano di Dio di essere suo testimone (Galati 1:15; Atti 20:22–24; Atti 21:8–24)
Dopo la sua conversione, Paolo diventò pienamente consapevole del piano di Dio per la sua vita. Dio disse che avrebbe mostrato a Paolo quanto avrebbe dovuto soffrire per lui mentre diffondeva il vangelo di Gesù Cristo. Nel libro dei Galati, Paolo ha detto di essere stato scelto da Dio fin dalla nascita così che suo Figlio fosse rivelato in lui, in modo che Paolo potesse predicare Gesù ai Gentili. Prima di andare a Gerusalemme, Paolo disse che sarebbe andato in quella città senza sapere esattamente cosa gli sarebbe successo. Sapeva solo che lo Spirito Santo l’aveva avvertito che l’avrebbero aspettato prigione e difficoltà (Atti 20:22–24).
Ma quasi prevedibilmente, Paolo, che fu arrestato e picchiato dai suoi compatrioti, e imprigionato e processato dalle potenze romane, guardava oltre tutte quelle prove e difficoltà e si considerava non solo un prigioniero dello stato romano o giudeo, ma un prigioniero di Gesù Cristo (Efesini 4:1; 3:1; Filemone 1:1). Guardava oltre i limiti fisici delle catene e delle sbarre, e si considerava costretto dall’amore di Cristo (2 Corinzi 5:14).
Paolo davanti ai capi giudei e romani (Atti 9:16; 26:17)
Paolo era Ebreo oltre che cittadino romano. Questi due fatti influirono su come fu trattato dai suoi carcerieri. Il retaggio ebraico di Paolo era ben noto agli Ebrei, perché una volta egli era uno dei loro membri più di spicco, e faceva esattamente quello che facevano ora loro. Per la sorpresa dei suoi carcerieri Gentili, Paolo rivelò la propria cittadinanza romana che gli dava certi privilegi che potenziarono il suo ministero durante la prigionia. Grazie alla sua cittadinanza romana, Paolo non doveva essere messo in catene, né picchiato senza prima essere stato trovato colpevole. Paolo aveva anche il diritto di affrontare i propri accusatori faccia a faccia per rispondere alle accuse portate contro di lui. Questi fatti significavano che gli Ebrei dovevano venire a Cesarea per portare il loro caso contro Paolo.
I capi ebrei iniziarono il loro appello a Felice non portando delle prove per le loro accuse contro Paolo, ma adulando Felice. Questo fu fatto perché pensavano che adulare Felice sarebbe stato il modo più efficace per avere Paolo, in modo da poterlo far uccidere. Questo ci parla più della percezione del carattere del governatore che del valore delle prove che i capi ebrei avevano da presentare. Paolo, d’altra parte, era più interessato a sfruttare questa opportunità per presentare la verità del vangelo a capi che magari non avrebbero più avuto l’opportunità di sentirla.
Le cure provvidenziali promesse a Paolo da Dio mentre soffriva per il vangelo di Gesù Cristo sono straordinarie (Atti 9:16). Dio aveva promesso di salvare Paolo dal suo stesso popolo oltre che dai Gentili (Atti 26:17). Il retaggio romano di Paolo gli dava certi privilegi che lo protessero dalla folla ebrea che voleva accusarlo falsamente e ucciderlo senza un equo processo. Potremmo dire che Paolo fosse in custodia cautelare delle autorità romane per proteggerlo dalla folla ebrea. Questo permise a Paolo di presentare accuratamente il vangelo a Ebrei e Gentili, a re e a poveri.
Il messaggio di Paolo ai suoi carcerieri, ai governatori e al re (Atti 24:22-27)
In tutte le sue risposte ai suoi carcerieri, Paolo voleva essere chiaro che l’opposizione che affrontava da parte della classe dirigente ebraica e la sua prigionia non erano basate su cose sbagliate che aveva fatto nei confronti degli Ebrei e delle loro leggi e tradizioni; o nei confronti di leggi romane. Voleva che tutti sapessero che il vero motivo per cui era odiato, picchiato e imprigionato era a causa del vangelo che predicava, che includeva la resurrezione in Gesù. Questo era in diretto compimento di tutto ciò che i profeti avevano profetizzato. Paolo parlò della fede in Cristo Gesù e fece un discorso sulla giustizia, la temperanza e il giudizio futuro. Felice non volle più ascoltare; «Per ora va’», disse.
Festo accusò Paolo di vaneggiare, mentre re Agrippa chiese a Paolo se pensasse di poterlo convertire in così breve tempo. I dettami dei governatori romani dimostrarono che lo Spirito Santo aveva convinto questi ascoltatori del messaggio senza catene di Paolo. Come l’attacco di Paolo prima della sua conversione era un attacco di Gesù, così la sua nuova dichiarazione inequivocabile era una difesa del vangelo di Gesù Cristo. Il vangelo è certamente la potenza di Dio di convincere e convertire gli uomini.
Martedì
TESTIMONIANZA
Vivere per la luce, anche nelle tenebre
di Jillian Haughton, Orlando, Florida, USA
Atti 24:10–19
Ci sono momenti nella nostra vita in cui potremmo sentire di volerci arrendere. Alcuni di noi, come Paolo, sono stati messi in situazioni in cui i muri sembrano stringersi e le possibilità di speranza sembrano poche. Paolo, però, ci insegna una lezione sul sostenere Dio anche in quei momenti disperati. Quando Paolo fu obbligato a difendersi davanti ai funzionari, non usò mai quei momenti per negare la propria fede; invece, la abbracciò, e continuò a condividere la verità e a portare onore e gloria a Dio.
«Paolo considerò quest’opportunità datagli da Dio, e la migliorò fedelmente. Sapeva che l’uomo e la donna davanti a lui avevano il potere di metterlo a morte o di proteggere la sua vita; eppure non si rivolse a loro con elogi o lusinghe. Sapeva che le sue parole sarebbero state per loro un assaggio di vita o di morte e, dimenticando tutte le considerazioni egoistiche, cercò di risvegliarli al pericolo del loro animo».[1]
«L’apostolo sentiva che per chiunque potesse ascoltare le sue parole, il vangelo avrebbe avuto una presa su di loro; si sarebbero trovati tra i puri e i santi attorno al grande trono bianco, o con quelli a cui Cristo avrebbe detto: “allontanatevi da me, malfattori!” Sapeva di dover incontrare ogni ascoltatore davanti al tribunale del cielo, e di dover rendere conto, non solo di ciò che aveva detto e fatto, ma del motivo e dello spirito delle sue parole e azioni».[2]
«Presentò davanti ai suoi ascoltatori il carattere di Dio: la sua giustizia ed equità; e la natura e impegno della sua legge. Mostrò chiaramente il compito dell’uomo di vivere una vita di sobrietà e temperanza, tenendo le passioni sotto il controllo della ragione, in conformità con la legge di Dio, e preservando le forze fisiche e mentali in una condizione di salute».[3]
«L’apostolo si sforzò di dirigere le menti dei suoi ascoltatori al grande sacrificio compiuto per il peccato. Spiegò che i sacrifici erano figure di buone cose a venire, e poi presentò Cristo come l’antitipo di tutte quelle cerimonie, l’oggetto che esse indicavano come la sola sorgente di vita e di speranza per l’uomo caduto».[4]
Rispondi
- Perché pensi che Paolo sentisse che era importante onorare Dio anche quando era sotto processo?
- Come cristiani, come possiamo trovare la forza di essere una luce per Dio mentre stiamo attraversando delle situazioni difficili?
[1] Ellen G. White, Sketches from the Life of Paul, p. 240
[2] Idem
[3] Ibid., p. 241
[4] Ellen G. White, Gli uomini che vinsero un impero, p. 265
Mercoledì
COME FARE
Quanto a lungo, Signore?
di Autherene Opal Leighvard, Orlando, Florida
Atti 25:13–27; 26:12–32
Paolo, nei suoi due anni di ingiusta prigionia, sapeva che avrebbe affrontato la morte se fosse tornato a Gerusalemme (Atti 25:3) e poteva affrontare la stessa cosa da Festo e Agrippa. Anche se Paolo era imprigionato letteralmente, stava vivendo un «confinamento divino».[1]
Il nostro confinamento divino potrebbe venire in varie forme. Potresti vivere un ritardo nel progresso di risultati accademici o professionali. Potrebbe esserci un problema di salute che ti impedisce di raggiungere i tuoi obiettivi personali. Per altri, potrebbe essere che il piano che hai per la tua vita è completamente cambiato e la vita potrebbe sembrare un vortice fuori controllo.
Come facciamo a vivere il «confinamento divino» restando fedeli e risoluti? È importante imparare dalle esperienze e dalle lezioni spirituali precedenti. Questo potrebbe sembrare quasi incomprensibile quando ci troviamo davanti ciò che sembra la battaglia della tua vita. Ma la fede è l’unica cosa che abbiamo quando le libertà o i beni terreni vengono tolti. Paolo, senza dubbio, rifletté sulla chiamata della sua vita e sulle sue esperienze proclamando il vangelo (Atti 9:15, 16; 26:1–11; Romani 1:1). La sua sofferenza non era paragonabile alla gloria che Cristo gli rivelò (Romani 8:18, 22).
Come possiamo superare i periodi di confinamento spirituale o letterale?
Ricorda che Dio ha uno scopo per ognuno di noi. Le sue vie e i suoi pensieri non sono paragonabili ai nostri (Isaia 55:8, 9) né comprendiamo sempre il suo piano. Il tuo «confinamento» potrebbe diventare una testimonianza che porta gli altri a conoscere Gesù. La tua storia potrebbe non finire come quella di Paolo, ma quando è radicata nella fede e nella speranza che solo Cristo dà, il risultato è la vita eterna.
Un «confinamento» non è una punizione, è invece un’opportunità. Il confinamento di Paolo risultò in delle opportunità di testimoniare e condividere il vangelo (Atti 26:27–31). Avere una mentalità che riflette il mandato di Gesù per noi ci aiuterà a vedere le opportunità invece degli intoppi (Matteo 28:19, 20).
Dobbiamo essere risoluti nelle nostre convinzioni nella suprema volontà di Dio. Abraamo non mise in dubbio la volontà di Dio quando gli chiese Isacco come sacrificio, né lo fece Giobbe durante le sue prove (Giobbe 1:21; Genesi 22:12). La fede di questi «giganti» biblici potrebbe sembrare più grande della tua, ma solo attraverso lo studio quotidiano e la ricerca sincera del volto di Dio cresciamo nella comprensione di lui e della sua volontà divina (1 Pietro 5:10).
Rispondi
- Quali sono alcune strategie che usi per restare fedele in quei periodi in cui sembra non esserci via d’uscita?
- Quali sono i vantaggi di rafforzare la tua fede?
- Come pensi che l’esempio di Paolo ci mostri come sopportare il «confinamento divino» nella nostra vita?
[1] Cfr. Deffinbaugh, Robert L., «Studies in the Book of Acts», 31 marzo 2017, su Bible.org
Giovedì
OPINIONE
Testimoni coraggiosi davanti alla morte
di Paul Clarke, Orlando, Florida, USA
Atti 16:6–8
Bisogna apprezzare il coraggio dell’apostolo Paolo nel fare la volontà di Dio. Bisogna notare che qualunque decisione prendesse era sotto la guida e i suggerimenti dello Spirito Santo. Normalmente, quando abbiamo un’opportunità di testimoniare per il Signore, l’opinione comune è che dovremmo farlo. Ma nota il rifiuto di Paolo di condividere il vangelo con le persone in Asia (vedi Atti 16:6–8). Non rifiutò per motivi personali; Paolo rifiutò perché era rispettoso e pieno di Spirito Santo. Ed ecco il problema dei cristiani che osservano i comandamenti. Essi sentono come unico obbligo quello di osservare alla lettera il decalogo.
Tentare di osservare la legge di Dio senza la guida dello Spirito Santo è ipocrita. Colui che osserva i comandamenti è una persona che ascolta tutti i comandamenti di Dio attraverso lo Spirito Santo, che a volte ci comanda di fare cose non convenzionali, come fece per Paolo. Questo fu evidenziato ancora una volta quando un profeta lo mise in guardia dall’andare a Gerusalemme perché la sua libertà sarebbe stata minacciata; ma Paolo sentì di avere un obbligo da parte dello Spirito di andare lì, e quindi andò.
Quando Paolo e Sila erano in prigione, invece di lamentarsi della loro brutta situazione, essa stessa una conseguenza della loro fedeltà allo Spirito Santo, pregarono e cantarono. Entrambi ebbero l’opportunità di fuggire dopo il terremoto, ma ancora una volta guidati dallo Spirito Santo, e non mettendo la loro sopravvivenza davanti alla salvezza, rimasero nelle loro catene, così dimostrando la loro accettazione del piano di Cristo per la loro vita. Come risultato, il carceriere, che stava per suicidarsi, si ravvide e accettò il vangelo grazie alla testimonianza di questi due uomini coraggiosi pieni di Spirito Santo.
Anche se Paolo non aveva paura di morire per il suo Maestro, non metteva la propria vita in pericolo, ma si servì della legge per lottare per avere un trattamento equo e legale. Questo gli diede l’opportunità di testimoniare non solo alla gente comune, ma a re Agrippa e ad altri nobili dell’epoca. Re Agrippa stava quasi per accettare i termini del vangelo, ma nonostante il suo rifiuto finale, diversi altri accettarono la testimonianza di Paolo.
Paolo aveva una passione per la verità, ed era disposto a fare di tutto per eliminare quelli che contrastavano la sua fede. Dio vide quella passione e gli diede l’opportunità di usarla per diffondere il vangelo. Possibilmente sentendo la colpa per le vite innocenti che aveva distrutto in precedenza, ora si rassegna con fede a quello stesso fato. Affrontò i suoi carnefici senza paura perché sapeva che c’è una corona che lo aspetta. La sua testimonianza coraggiosa fece sì che molte persone accettassero Cristo e la buona notizia della salvezza.
Venerdì
ESPLORAZIONE
Convinto da un detenuto
di Arlene Thomson, Orlando, Florida, USA
Atti 26:24–32
CONCLUSIONE
Paolo, ora uno zelante convertito cristiano dopo aver incontrato di persona Cristo, è impegnato a portare il nome di Cristo davanti ai Gentili, nonostante le inevitabili sofferenze che dovrà sopportare. Sopportare una prigionia ingiusta e illegittima di due anni a Cesarea non lo scoraggia dall’annunciare il Cristo risorto davanti ai governatori Felice, Festo e re Agrippa, al punto che furono convinti, e quasi convertiti al cristianesimo. Che grande esempio di risolutezza Paolo ci ha lasciato da seguire! Nessuna forma di sofferenza o punizione, giusta o ingiusta, deve proibirci di annunciare il Cristo risorto. Ripromettiamoci nel cuore e dichiariamo come Paolo: «Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno» (Filippesi 1:21).
PROVA A
- Creare un diagramma di Venn paragonando «libertà» e «prigionia». Cerca di ricavare almeno quattro somiglianze e quattro differenze.
- Intervistare qualcuno che ha passato del tempo in prigione per capire la sua prospettiva su com’è la vita dietro le sbarre, e di quali libertà può ora godere.
- Visitare una prigione per avere un’impressione in prima persona di quell’istituzione.
- Condividere la tua testimonianza/fede con una persona influente nella tua comunità o nel tuo paese, qualcuno come un parlamentare, un senatore, un giudice di pace, giudice, presidente o primo ministro del tuo paese.
- Comporre una canzone/testo sulla libertà, ricordandoci della libertà che abbiamo in Cristo.
- Fare una lunga passeggiata in solitudine dove puoi parlare a Gesù esprimendo la tua gratitudine nel poter adorare liberamente.
- Pregare per quelli che sono imprigionati per le loro convinzioni cristiane, e per quelli che sono imprigionati mentalmente.
- Disegnare una persona o un’altra creatura (uccello o animale) che prima era imprigionata, ma poi è stata liberata, e cattura le espressioni del volto/corpo nella tua illustrazione.
CONSULTA
Apocalisse 2:10
Ellen G. White, Gli uomini che vinsero un impero, capitolo 38, «Paolo prigioniero»; capitolo 39, «Il processo a Cesarea».
LEZIONI PER GIOVANI (18-35 ANNI)
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